«Gomorra», la mala in tv ma senza giudizi morali

Non è ancora stata trasmessa e già è stata venduta in più di 40 paesi tra cui gli Stati Uniti grazie all'interessamento di Harvey Weinstein, il produttore abbonato agli Oscar. Non c'è niente da fare, il marchio Gomorra funziona molto, anche all'estero, ne sa qualcosa Roberto Saviano con il suo omonimo bestseller internazionale Mondadori (10 milioni di copie nel mondo) che, dopo essere stato portato al cinema con successo da Matteo Garrone, diventa ora una serie diretta da Stefano Sollima (il regista del televisivo Romanzo criminale) prodotta da Cattleya, Fandango e Sky Atlantic che programmerà le prime due puntate il 6 maggio alle 21,10 per poi proseguire con gli altri 10 episodi tutti i martedì in prima serata.
Il progetto televisivo parte però da una storia del tutto originale (scritta da Giovanni Bianconi, Stefano Bises, Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi, Roberto Saviano) sempre profondamente ancorata nel mondo del Sistema che è il vero nome con cui oggi si identifica la Camorra. In un ampio arco narrativo si sviluppa la storia di due grandi famiglie, il clan dei Savastano il cui predominio è insidiato da quello dei Conte. Nei primi avvincenti episodi tutto ruota intorno al boss vecchio stampo Pietro Savastano (l'attore Fortunato Cerlino) e a Ciro Di Marzio (Marco D'Amore, un interprete di cui si sentirà parlare), uno dei suoi soldati più fedeli ma anche ambiziosi, che si muovono praticamente indisturbati - le forze dell'ordine all'inizio hanno un ruolo marginale - gestendo affari illeciti, spaccio, appalti truccati, il business dei rifiuti. Quando al boss si apriranno le porte del carcere, il figlio Genny (Salvatore Esposito) non è ancora pronto per guidare il piccolo impero così sarà la moglie Imma (Maria Pia Calzone) a prendere le redini del clan.Ma, come dice Sollima che divide la regia con Francesca Comencini (per i due episodi incentrati sulla moglie del boss) e Claudio Cupellini (i tre episodi sul figlio), «l'evoluzione dei personaggi sarà sorprendente perché non faranno mai ciò che si pensa. Abbiamo però scelto l'unico punto di vista possibile, quello interno alla Camorra, perché il filtro di un giudice o di un poliziotto avrebbe presupposto un giudizio morale. Qui i personaggi si giudicano da soli».
Gomorra - La serie sposta ancora l'asticella più in alto sia in termini di rappresentazione cruda e violenta della realtà che nella cura della produzione arrivata a costare più di un milione di euro a puntata per via delle 30 settimane di riprese, le 156 location utilizzate a Napoli e dintorni e i quasi duecento attori campani. «Il nostro paese - dice per Sky Andrea Scrosati che già pensa alla seconda stagione - dimostra così non solo la capacità creativa ma anche quella produttiva in un periodo economicamente non roseo. L'obiettivo era realizzare una di quelle serie che gli spettatori non dimenticano anche se può contenere elementi disturbanti». Che in effetti non mancano. Perché se la fiction ha una cura maniacale nella rappresentazione degli ambienti, con quegli interni kitsch e pseudo lussuosi dei boss tra broccati, tv al plasma con cornici barocche, gigantografie ai muri di feroci tigri accanto a quelle di Padre Pio, non risparmia certo le scene di azione e di violenza con sparatorie all'ultimo sangue. D'altronde questa è la realtà. Welcome to Scampia c'è ironicamente scritto all'ingresso delle Vele, i celebri edifici del degrado dove, dice in un'intervista Roberto Saviano, «c'è la piazza di spaccio più grande del mondo occidentale».
Lo scrittore ne approfitta per rispondere a chi, criticandolo, attacca implicitamente anche la serie: «C'è una parte di Scampia, con cui io mi voglio confrontare perché è per bene e sana, che soffre nel vedere raccontato il proprio territorio solo con le pistole ma a questa parte dico che non è pensabile credere che raccontare tutto ciò sia speculazione. Io dico che queste storie in realtà portando attenzione su queste contraddizioni portano risorse per affrontarle».

La pensa un po' diversamente il produttore Gianluca Arcopinto che, dopo due mesi di riprese, ha lasciato il suo posto di organizzatore generale della serie e ora ha pubblicato per Derive e Approdi Un fiume in piena in cui alla fine si chiede: «Siamo sicuri di avere diritto di stare qui senza abbassare lo sguardo e arrossire?».

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