Grazie grande maestro, ci hai commossi tutti

Morto a soli 48 anni il pianista, compositore e direttore che non si è mai piegato alla malattia

Grazie grande maestro,  ci hai commossi tutti

«Se mi volete bene, smettetela di dirmi di sedere al pianoforte a suonare. Non sapete la sofferenza che tutto questo mi provoca, perché non posso più farlo». Lo disse l'anno scorso alla Fiera del Levante di Bari Ezio Bosso, ma nonostante l'implacabile e vigliacca malattia neurodegenerativa dal nome impossibile (non era affetto da sla ma da un'altra patologia altretttanto invincibile) non aveva mollato il suo amore: la musica. Aveva continuato a fare da par suo il direttore d'orchestra. Era anche il simbolo vivente di alcune organizzazioni no-profit, infatti era ambasciatore e testimone musicale dell'Associazione Mozart 14 di Alessandra Abbado, che promuove laboratori musicali per i bimbi in ospedale. Aveva diretto a Milano un concerto lo scorso gennaio alla guida della Europe Philarmonic Orchestra con grande classe e con estrema fatica, con pagine di Strauss e Beethoven.

Ora ha ceduto alla morte, a 48 anni. La vita non gli aveva risparmiato neppure un tumore al cervello, nel 2011, un intervento mal riuscito che - pare - ha poi provocato la malattia degenerativa. È stata una fine lenta e inesorabile; non parlava più, faceva fatica a muovere le dita che tanto avevano fatto sognare - con il suo tocco alla tastiera - il pubblico di tutto il mondo. «La musica è una vera magia - diceva spesso - non a caso i direttori hanno la bacchetta come i maghi». Bosso era tanto colto (e la sua musica vibrante) quanto modesto e si definiva «pianista per caso».

È stato una delle più belle sorprese che il Festival di Sanremo ci abbia regalato nella sua lunga e gloriosa storia. Nessuno dimenticherà mai lo stupore e la bellezza di quella sua esecuzione solista al Festival del 2016, condotto da Carlo Conti. L'artista eseguì col cuore e con l'anima il brano Following the Bird, tratto dall'album The 12th Room che da lì a pochi giorni divenne un best seller. Allo spegnersi dell'ultima nota il pubblico scattò in piedi, emozionato e turbato, per un applauso e una standing ovation che durarono quasi un quarto d'ora. Quell'esibizione segnò anche il picco di ascolti televisivo di quel Festival con uno share da paura. «La musica non ti cambia solo la vita - diceva - te la migliora giorno dopo giorno, passo dopo passo». Per questo il maestro è riuscito a superare tante prove così dure e terribili, aggrappandosi alle sue composizioni e fino all'ultimo alla direzione d'orchestra, persino quando il suo corpo non rispondeva quasi più.

Ne ha fatti di concerti Bosso portando le pagine di The 12th Room a centinaia di migliaia di persone in tutta Europa. Poi, piano piano, ha lasciato che il pubblico scoprisse la sua anima classica, tornando alla direzione d'orchestra proprio nel 2016, dopo sette anni di assenza dal podio, con l'album dal vivo alla Fenice The Venice Concert, in cui si esibisce anche al cembalo improvvisando sulla trascrizione di Bach dell'Adagio dal Concerto per oboe di Alessandro Marcello. Quel concerto e quel disco furono una prova splendida e matura di cui Bosso disse: «Questo non è (solo) un disco per me: rappresenta proprio tutto ciò che accade quando io faccio musica. C'è la fortuna di poter vivere la musica. Mi piace il termine che si usa per indicare il disco in inglese: album. Perché album significa tante cose. Immaginate quell'album di fotografie di un tempo, quello che raccontava la storia di un avvenimento, o di una famiglia, o di una persona. Ecco, così capisco meglio perché i dischi si debbano chiamare album. Non nella loro accezione superficiale, come mere raccolte di brani, ma perché racchiudono storia, sentimenti profondi, tempo, luoghi perduti o cambiati; e i nostri occhi viaggiano attraverso gli scatti che essi contengono».

Per Bosso la musica era tutto; aveva raccontato a noi del Giornale che è una grande fortuna che va condivisa senza se e senza ma perché «pur avendo sempre una storia, la musica è essa stessa la storia più bella». Il maestro era un musicista universale, piaceva a tutti... Convinceva i puristi della musica classica quando dirigeva l'orchestra da Camera di Mantova (che lo vide giovanissima «prima parte» ai suoi esordi) o quando era Direttore Principale Ospite del Teatro Comunale di Bologna, o quando saliva sul podio della London Symphony Orchestra o dell'Accademia di Santa Cecilia, ma sapeva emozionare anche gli amanti del pop o della musica più leggera. Non a caso Jovanotti è intervenuto immediatamente scrivendo su twitter: «Che dispiacere, il silenzio di stamattina è un vuoto improvviso, come se la musica avesse perso un suo figlio prediletto». Un figlio prediletto e particolarmente sensibile che volava attraverso generi e stili con la purezza di un artista d'altri tempi. Bosso non è «andato di moda» come molti artisti che hanno cavalcato l'onda del pianoforte solista in questi anni... Bosso è stato e rimarrà un classico.

«La musica è come la vita! Si può fare in un solo modo: insieme», era il suo motto, motto che apriva le porte della sua straordinaria esuberanza comunicativa. Comunicare... un'ossessione e una missione per lui, da quando aveva quattro anni. Da quando si esibì nei primi concerti in Francia incrociando poi diverse orchestre europee passando alla «musica seria» studiando Composizione e Direzione d'orchestra all'Accademia di Vienna, cn il suo primo mentore, Ludwig Streicher, grazie al quale si dedicò al contrabbasso.

L'anno scorso, quando smise definitivamente di esibirsi e di suonare perché le dita non rispondevano, diede ugualmente grandi lezioni di vita con le sue parole. «Oggi tutti parlano e nessuno sta a sentire - disse proprio poco tempo fa -; bisogna fare silenzio per poter ascoltare. Un silenzio attivo, che ti aiuta a percepire non solo il suono ma anche te stesso, la tua anima».

Amava Bach e Mendelssohn ma ci aveva detto che «da Beethoven deriva molto dell'uomo e del musicista che sono».

La sua è una lezione di musica e di vita difficilmente imitabile, per stile artistico e per umanità perché, come diceva: «gli uomini danno per scontate le cose belle, io invece le ho conquistate».

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