Da Greenwood a Richter Quando sono i rocker a reinventare la classica

Da Greenwood a Richter Quando sono i rocker a reinventare la classica

Manco a dirlo, c'è da sorprendersi. Rockettari che suonano (e dirigono) musica classica. Bene, per di più. E non è un semplice divertissement tanto per gradire. Prendete Jonny Greenwood, il chitarrista di Radiohead, quindi non proprio l'ultimo arrivato. Sotto la sua frangia a palizzata, fatta apposta per nascondergli lo sguardo, cova da sempre una passione extra rock. Stavolta ha pubblicato con Bryce Dessner dei National (la band più amata da Obama) un disco che gli intenditori definiscono «split»: diviso in due. Da una parte ci sono le suite composte da Greenwood che erano già state ascoltate nella colonna sonora de Il petroliere del 2007. Arie complesse, rarefatte, incompatibili con il dizionario rock ma anche con quello più generico del pop. Dall'altra parte, oltre a St Carolyn by the sea, che lBryce suona con il fratello Aaron alla chitarra elettrica, ci sono due brani, meglio dire due movimenti, (Lachrimae e Raphael) che hanno un evidente impianto classico e potrebbero (anzi dovrebbero) essere anche ascoltati dai puristi del genere, quelli che non accettano musica «esogena». Nulla che non sia classico, con matrici classiche e linguaggio classico.
Per capirci, sia Lachrimae che Raphael sono suonate dalla Copenhagen Philharmonic diretta da André de Ridder, quindi non sono per nulla semplici divagazioni di rockstar annoiate. Anzi. Le intuizioni di Greenwood, e anche di Dessner che è più americano e quindi ancor meno ortodosso, sono linfa vitale per un tipo di sonorità sempre più ripiegato su se stesso e perciò impermeabile allo spirito del tempo o, peggio ancora, all'irrinunciabile necessità di rinnovarsi. Tanto più che sono state pubblicate da Deutsche Grammophon, ossia dalla etichetta storicamente più autorevole di quel mondo. Un segnale da non sottovalutare. Per tutti. L'universo della musica classica, e i prodromi del fenomeno sono in atto da un bel po', ha abbassato i ponti levatoi e accetta scambi con musicisti esterni. Sempre che siano autorevoli e credibili come in questo caso. In fondo Jonny Greenwood, che nel dna ha tutto tranne che i cromosomi della rockstar, non si è mai fatto mancare nulla in materia. Giusto il tempo di consolidarsi con i Radiohead, e ha fatto capire di volere altro. Nel 2011, nel pieno del bailamme della sua band pro o contro major discografiche, ha composto la colonna sonora del lungometraggio We need to talk about Kevin della scozzese Lynne Ramsay. E l'anno dopo ha collaborato con il compositore di avanguardia Krysztof Penderecki in Threnody for the victims of Hiroshima. Quindi, mentre i Radiohead sembrano sempre più asserragliati nei confini vaghi delle loro ricerche, Greenwood comunica con l'esterno. E lo fa bene, come in questo caso, allineandosi a una piccola schiera di altri compositori crossover. Come Max Richter, che ha ricomposto le Quattro Stagioni di Vivaldi ottenendo un successo strepitoso sia di critica che di ascolti concreti (oltre un milione di preferenze su Spotify).
Richter, che non casualmente incide anch'egli per Deutsche Grammophon, è uno dei talenti lì lì per esplodere sul grande mercato anche come compositrore di colonne sonore. Ha 48 anni, ha studiato alla Royal Academy di Londra e pure da Luciano Berio a Firenze e ha il privilegio di non avere confini visto che si è pure permesso di dire che «sentivo Le quattro stagioni ovunque, nei centri commerciali e negli ascensori, nelle segreterie telefoniche e in pubblicità: e ho iniziato a odiarle». Una dichiarazione che conferma l'esigenza di uscire dagli steccati plumbei tra i quali tante meravigliose composizioni si sono ritrovate. Per carità, sono urgenze che non hanno ancora la benedizione coram populo.

Ma sono avvisaglie decisive di un futuro prossimo venturo nel quale la musica classica riconoscerà la parità con quella leggera e popolare. Per potersi scambiare idee. E, soprattutto, per sopravvivere senza mummificarsi come pare stia inevitabilmente accadendo.

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