Oggi quelli che non amano (eufemismo) Dario Argento possono tirare un Suspiria di sollievo. È infatti finita la pacchia per quelli che invece lo amano: ieri era l'ultimo giorno utile per vedere in alcune sale italiane il suo film datato 1977 nella versione restaurata in 4k. Inutile girarci intorno: Argento è un regista che «divide», come si suol dire. Lo fa a colpi di coltello, di spaccaossa, di mazza e di qualsiasi altra arma trovata nell'inesauribile teatro di posa della sua crudele fantasia.
Eppure Dario, figlio del produttore cinematografico Salvatore e della fotografa brasiliana Elda Luxardo, all'inizio era un ragazzo tranquillo che andava sì pazzo per sir Alfred Hitchcock e per i thriller in generale, ma anche per i western (con Sergio Leone e Bernardo Bertolucci scrisse il soggetto di C'era una volta il West), i «telefoni bianchi», la commedia (partecipò alla sceneggiatura di Metti una sera a cena), la satira (ha sceneggiato Scusi, lei è favorevole o contrario?, dove compare nelle vesti di un prete). Fu Bertolucci a portarlo, involontariamente, sulla... cattiva strada, quando nel '69 gli propose un inquietante romanzo, La statua che urla, di Fredric Brown. La storia, riveduta e scorretta, divenne L'uccello dalle piume di cristallo, primo film diretto dal Nostro: il classico elefante nella cristalleria che mise a soqquadro tre generi con un colpo solo, giallo, thriller e orrore. A trent'anni, nel 1970, la crisalide Dario si trasformò nella farfalla notturna Argento.
Per seguirla con l'ostinazione e la passione degli entomologi in tutti i suoi svolazzamenti fra un cadavere e l'altro, un maniaco e l'altro, una maledizione e l'altra, ora abbiamo uno strumento infallibile, un retino a maglia strettissima cui nulla sfugge, dall'attore generico più anonimo al gossip raccolto a margine dei set. Si intitola Universo Dario Argento (Ultra, pagg. 414, euro 23,50, da oggi nelle librerie) e lo hanno costruito Alberto Pallotta e Giovanni Aloisio, argentiani di strettissima osservanza, anche se critici il giusto quando si tratta di confrontare l'età dell'oro anni Settanta e Ottanta con quella meno preziosa successiva. In ordine di apparizione, «Enciclopedia argentiana», Filmografia argentiana, intervista inedita.
L'arma del delitto più tecnologica? Una ghigliottina a nastro, mossa da una batteria. Quella più strana? Un corno inglese. Di chi è il quadro chiave del mistero in Profondo rosso? Del pittore surrealista Enrico Colombotto Rosso (da qui il titolo? Chissà, quel che è certo è che la pellicola era inizialmente registrata alla Siae come «Chipsiomega», molto più criptico di «La tigre dai denti a sciabola», una burla per prendere in giro la stampa). Perché l'assassino indossa guanti neri? Perché le mani, tranne che in Non ho sonno, sono proprio quelle del... vero colpevole, ovvero il regista. Dalla «A» di acqua, con i lavandini che si colorano di rosso sangue e i temporali tutt'altro che purificatori, alla «Z» di Zoo, nome della discoteca di Non ho sonno, ma che rimanda anche agli animali in carne e ossa o radiocomandati tipo i corvi di Opera e i gatti di Il gatto nero, uno dei due episodi di Due occhi diabolici dove complice di Dario è un altro genio del male al cinema, George A. Romero, questo catalogo non tralascia nulla. Men che meno i nomi degli eccellenti professionisti i quali hanno dato lustro all'argenteria di Argento: lo scenografo Giuseppe Bassan, il mago degli effetti speciali Sergio Stivaletti, il direttore della fotografia Luciano Tovoli... O gli autori di musiche che ci hanno tormentato diventando tormentoni, dal decano Ennio Morricone ai Goblin, da Claudio Simonetti a Pino Donaggio.
Inoltre apprendiamo con piacere che persino Dario Argento qualche volta se l'è fatta sotto, con rispetto parlando. Prima di iniziare la lavorazione di Tenebre, a esempio, è stato vittima di prolungato stalkeraggio telefonico. E ad Ansedonia, nella casa che Clara Calamai gli prestava per le vacanze, c'era una stanza chiusa a chiave che lo terrorizzava almeno quanto lo sguardo dell'anziana attrice ha terrorizzato milioni di spettatori in tutto il mondo. In Universo Dario Argento ci imbattiamo poi nella casa di Psycho, in Carlo Rambaldi prima di E.T., nelle schede dei temutissimi Mereghetti e Morandini. E nel Dario Argento extra orrore datato 1973, quello di Le cinque giornate, sull'insurrezione milanese anti-austriaca del 1848.
Fu Ugo Tognazzi, inizialmente scritturato come protagonista e poi sostituito da Adriano Celentano, a proporre Argento come subentrante in cabina di regia a Nanni Loy, il quale aveva rinunciato. Uno scherzo, se non macabro, almeno dalle tinte grottesche.
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