Ci sono luoghi magici dove cambia la nostra percezione del tempo e della evoluzione umana. La Bretagna è tra questi. Paimpont è il punto di partenza per esplorare la foresta di Brocelandia alla ricerca di mago Merlino. Si incontrano, camminando per sentieri immersi nel verde, i luoghi leggendari del ciclo bretone. Lo Specchio delle Fate, un laghetto con le acque immobili. La sorgente dell'eterna giovinezza, dove si ritemprava Lancillotto. La fonte di Barenton, dove Merlino vide per la prima volta Viviana, e poi luogo dei loro incontri. La tomba di Merlino, ancora oggi meta di pagani e hippies, che lasciano ex voto al mago. Il lago di Viviana, davanti al castello di Comper: qui Merlino donò alla sua innamorata un castello di cristallo sotto l'acqua e qui Viviana si prese cura di Lancillotto, crescendolo come fosse suo figlio. Nella foresta si trovano poi antiche ed enigmatiche costruzioni, come il giardino dei druidi, un complesso di pietre che risale a oltre seimila anni fa.
Basta un'ora di macchina per raggiungere, da Paimpont, gli allineamenti di Carnac. File parallele di monoliti, i menhir, si rincorrono per chilometri, dalla roccia più alta a quella più bassa. Cosa sono gli allineamenti? È un mistero. Forse un complicato (per noi) segnale per le barche in navigazione nell'Atlantico. Forse un gigantesco santuario caro ai druidi. Gli allineamenti risalgono a seimila anni fa. Intorno a Carnac, si incontrano spesso dolmen, tombe megalitiche, tumuli, cerchi di pietre. Poco distante, a Locmariaquer, c'è il più grande menhir d'Europa: risale all'incirca al 4.500 a.C. Era alto 20 metri, ora giace a terra, spezzato. Il granito non è della zona. La roccia deve essere stata trasportata per chilometri. Come? Non è noto. A questo punto, si sale sul battello che conduce al Partenone della Bretagna. Il cairn (o tumulo) di Gavrinis è un monumento stupefacente. Si entra per un corridoio di pietre scolpite e si arriva nella camera mortuaria. Le decorazioni convergono su una figura che potrebbe ricordare una divinità partorita dalla fantasia di H.P. Lovecraft. Un piccolo essere dai mille tentacoli. L'ammirazione diventa uno choc culturale quando si apprende che la costruzione del cairn richiede una competenza matematica paragonabile a quella di un laureato in architettura. E anche qui c'è una pietra che arriva da lontano. Come è arrivata all'isola di Gavrinis? Non è noto.
Seimila anni fa esisteva già una civiltà complessa, che si estendeva, probabilmente, dall'Irlanda fino all'Europa centrale (gli ultimi scavi conducono alla Foresta nera). All'improvviso, il progresso diventa relativo e la nostra superiorità rispetto ai «primitivi» si rivela presuntuosa. Questa lunga introduzione ci cala tra le pagine de Il mago M. (ripubblicato ora da L'orma editore, pagg. 406, euro 20) di Réne Barjavel (1911-85). Il romanzo è una brillante rilettura delle imprese di Merlino, Re Artù, i cavalieri della Tavola rotonda, la avventurosa ricerca del Sacro Graal.
Barjavel si accosta alla materia con rispettoso garbo ma, essendo un uomo del nostro tempo, aggiunge un pizzico di ironia. L'incantesimo de Il mago M. funziona: il libro dà subito dipendenza.
L'autore vuole indurre il lettore a provare un leggero senso di nostalgia per quell'epoca fantastica. Il cavaliere si batte «per Dio, per i più deboli, per la giustizia e per l'onore». Merlino insegna l'arte del combattimento all'incontenibile Parsifal ma lo avverte: «Anche se il tuo avversario è l'uomo che più odi al mondo, dopo averlo buttato giù da cavallo, quando si troverà a terra disarmato, non dargli il colpo di grazia. Non c'è alcuna gloria nell'uccidere un uomo inerme, soltanto vergogna». Oltre alle armi, il cavaliere usa maniere cortesi con le donne e parole oneste con tutti.
Questi ideali sono stati accantonati come vecchi e inutili dall'età moderna che misura il valore delle persone dal reddito, combatte guerre per il petrolio e la pecunia, distribuisce morte senza gloria con macchine da sterminio, infierisce sulla popolazione civile, cancella l'individuo trasformandolo in massa, allontana Dio e chiede al popolo di inginocchiarsi davanti al vitello d'oro, finge di abolire le gerarchie per nascondere chi domina dallo sguardo di chi è dominato senza saperlo. Insomma, Il mago M. non sarà sgradito ai reazionari.
La vicenda si svolge circa mille anni fa, nella Bretagna di allora, che includeva l'Irlanda, la Gran Bretagna e oltremanica la piccola Bretagna. Troverete dunque tutti i luoghi della Brocelandia ai quali si accennava all'inizio. Nella foresta incantata, accanto al Dio dei cristiani, restano, come figure bonarie, le divinità degli antichi, superate dalla Rivelazione. Anche il Sacro Graal, la coppa che conteneva il sangue di Cristo nell'ultima cena, ha origini che si perdono nella notte dei tempi. Per chi vuole approfondire, oltre a quello che dice Barjavel, c'è Simboli della scienza sacra (Adelphi) di René Guénon. C'è dunque un filo che unisce le civiltà remote alla modernità. Quel filo è stato tagliato dalla Rivoluzione francese.
Chi era Barjavel? Nato nel 1911 e morto nel 1985, è stato scrittore, giornalista e sceneggiatore (tra l'altro, di Don Camillo monsignore... ma non troppo e Don Camillo in Russia). Durante l'occupazione nazista pubblica su Je suis partout, la rivista di Robert Brasillach, racconti che inventano la fantascienza francese. In questi anni diventa allievo del filosofo e mistico Gurdjieff. Alla fine della guerra rischia l'epurazione ma viene scagionato. Assume la direzione della casa editrice Denöel di Robert Denoël, estromesso per collaborazionismo e poi assassinato con una colpo di pistola alla nuca.
Tra i suoi romanzi, il più noto in Italia è forse Diluvio di fuoco, uscito nella collana Urania di Mondadori (la versione integrale di questo romanzo è annunciato per ottobre dalle edizioni L'orma con il titolo Sfacelo). Barjavel considerava la fantascienza come la versione moderna dell'epica. Per questo decise di recuperare il ciclo bretone e di scrivere Il mago M. Pubblicato nel 1984, è considerato il suo testamento artistico.
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