Stavolta no. Stavolta Mark Ronson ha fatto il bravo e si è concentrato soltanto sul proprio disco. Risultato: boom. Uptown special è già uno dei dischi dell'anno nel ramo funk e R&B pieno com'è di ritmo, melodie indovinate, arrangiamenti ultra up to date e, soprattutto, swing inteso come capacità di non far cadere mai la tensione.
In fondo, i suoi modelli di riferimento impediscono cadute di gusto: da James Brown a Steely Dan a Cameo fino a Prince sono, da soli, autentici detonatori di creatività. E lui, che ha studiato all'Università di New York ma poi ha preso la laurea nei migliori club del Village, ha aggiunto il suo. Prendete il singolone Uptown funk che ha fatto cantare a Bruno Mars: uscito due mesi fa, ormai è trasmesso a manetta in tutte le radio del mondo manco fosse il prossimo tormentone globale. Dunque Mark Ronson è un golden boy di quarant'anni, londinese figlio di un imprenditore e della scrittrice Ann Dexter Jones, origini ebree (il nome di famiglia è Aaronson) e famiglia di artisti (le sue sorelle gemelle sono una stilista e l'altra cantante).
Per di più, come si diceva tanti anni fa, è pure un bel figliolo e difatti nel 1999 Tommy Hilfiger lo ha voluto come testimonial di uno spot: dopotutto era uno dei deejay più smart del bigoncio newyorchese e la scena hip hop era già pazza di lui. Da lì a diventare superstar ha impiegato ancora un po', passo dopo passo. Ha prodotto Nikka Costa (già, la ragazzina di nove anni di Out here on my own ) e poi un poker di superstar, da Christina Aguilera a Robbie Williams a Justin Timberlake, Duran Duran e Lily Allen fino a quella che ha cambiato la sua vita: Amy Winehouse. A lei ha creato un suono, «il» suono di Amy Winehouse. E mica è una esagerazione: Rehab , You know I'm no good , Back to black e Love is a losing game sono firmati Ronson e li stanno copiando ancora oggi dopo quasi dieci anni. Dopotutto, anche in questo Uptown Special ci sono le tracce di quel brand. Sonorità calde. Vintage. Sincopate. Insomma, a questo giro si è tenuto le idee buone soltanto per sé. E ha chiamato un ospite mica da ridere, ossia Stevie Wonder, che suona l'armonica in Crack in the pearl e in qualche modo allunga la sua ombra su tutto il disco. Certo, di atmosfere vibranti e spontanee come quelle di Superstition o dello Stevie Wonder anni Settanta o primi Ottanta qui ci sono soltanto i ricordi.
Ma non potrebbe essere diversamente: Mark Ronson è meticcio di ispirazione e cultura e ha una voracità creativa che tende a contaminarsi più che a dettare la linea. Tanto per spiegarci, il brano I can't lose è il frutto di un pellegrinaggio nello stato del Mississippi alla ricerca della voce giusta, ossia con un timbro simile a quello di Chaka Khan. Dopo una trentina di cori gospel ha rintracciato una Keyone Starr che adesso si gioca la carta della vita.
Però d'accordo le musiche e le voci, ma il golden boy non ha lasciato al caso neppure le parole. E ha calato la carta a sorpresa: otto degli undici testi sono cofirmati con Michael Chabon, scrittore, sceneggiatore, fumettista newyorchese che in tutto il suo girovagare tra tv e classifiche ha vinto anche un premio Pulitzer per la narrativa nel 2001 e il premio Fernanda Pivano del 2012. I suoi temi preferiti sono di rottura perché orbitano intorno ad argomenti decisivi some la paternità, il divorzio, l'ebraismo, l'omosessualità e la bisessualità. Un autentico cane sciolto che è anche il valore aggiunto di Uptwon special , nonché il passepartout per l'ingresso di Ronson anche nei salotti che contano al di fuori della musica.
In fondo queste canzoni sono realmente il vademecum più completo di che cosa sia la musica popolare specialmente negli Stati Uniti e specialmente per un pubblico under 40: un melting pot senza alcun ancoraggio stilistico, capace di assorbire le lezioni della tradizione e di mescolarle in una cifra nuova che però non è né anarchica né reazionaria. È semplicemente la fotografia dello spirito del tempo con quella cosa che, sapete, fa sempre la differenza: il talento puro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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