Horne Fisher il detective laico di Chesterton

Il famoso inventore di Padre Brown si cimentò anche con un diverso personaggio, un investigatore altrettanto sui generis

Horne Fisher il detective laico di Chesterton

C'è un «uomo che sapeva troppo» precedente a quello di Hitchcock e il copyright originale spetta a Gilbert K. Chesterton (L'uomo che sapeva troppo, Lindau, pagg. 234, euro 21). Si tratta di una serie di racconti gialli. Sì, perché il famoso inventore di Padre Brown si cimentò anche con un diverso personaggio, un investigatore altrettanto sui generis. Se si pensa che, all'epoca, ci voleva una bella fantasia per ideare un prete-detective, altrettanta inventiva troviamo in questo Horne Fisher, l'«uomo che sapeva troppo».

Già dalla descrizione fisica si presenta, come Padre Brown, poco attraente: alto, allampanato, fronte stempiata, palpebre cascanti, colorito pallidissimo. La sua investigazione è puramente mentale: osserva la scena del crimine e poi spiazza tutti grazie al fatto di aver notato quel che a tutti è sfuggito. Talvolta l'autore è costretto a ricorrere a una «spalla», Harold March, giornalista. Ma solo come espediente letterario per spiegare come sono andate veramente le cose. Sì, perché la particolarità dei gialli di Horne Fisher sta nel fatto che spesso giustizia non è fatta, per la semplice ragione che non si può fare. Fisher deve mordersi le mani e lasciare le cose come stanno. Si tratti di un omicidio perpetrato a fucilate e il cui colpevole viene scoperto grazie a un trucco congegnato su un vecchio bersaglio, si tratti del furto con geniale destrezza di una antica e preziosissima moneta, si tratti di un altissimo personaggio rimasto vittima del suo stesso tentativo di assassinio, Fisher non può fare altro che abbozzare. «E poi ve l'ho già detto che devo ributtare in acqua i pesci grossi»: così, dopo aver spiegato come realmente si sono svolti i fatti, si rivolge a March, il quale lo aveva visto intento a una strana pesca. «Ma lei sa che non è vero», ribatte il giornalista. «Le ho già detto che io so troppo».

Il che rende ragione del titolo della raccolta e dell'appellativo attribuito dall'autore a Horne Fisher, la sua creatura. Ma è un merito? Ecco che cosa gli dice uno che lo conosce: «Sono tentato di dire che quello che non sai tu non vale la pena di essere saputo». Risposta: «È ciò che io so che non vale la pena di sapere.

E intendo tutto quell'ammasso di risvolti squallidi, intenzioni segrete, vili scopi, corruzione e ricatti che chiamano politica. Non dovrei mostrarmi così orgoglioso di aver bazzicato in tutte queste fogne tanto da sbandierarlo davanti ai giovani».

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