Cultura e Spettacoli

Houellebecq ci vaccina contro la banalità: "Non andrà tutto bene"

Lo scrittore parla per la prima volta del virus. "Non cambierà nulla... se non in peggio"

Houellebecq ci vaccina contro la banalità: "Non andrà tutto bene"

Michel Houellebecq non crede all'avvento di un mondo nuovo quando la crisi provocata dal Coronavirus sarà terminata, un mondo in cui «nulla sarà come prima», come viene ripetuto fino alla nausea in questi giorni. «Ammettiamolo: la maggior parte delle e-mail che ci siamo scambiati nelle ultime settimane aveva come primo obiettivo quello di verificare che l'interlocutore non fosse morto, né sul punto di esserlo. Ma dopo questa verifica, abbiamo provato a dire delle cose interessanti, cosa non facile, perché questa epidemia riusciva nella prodezza di essere allo stesso tempo angosciante e noiosa», ha scritto il romanziere francese in una lettera intitolata En un peu pire e pubblicata sul sito di France Inter in risposta ad alcuni amici. Tra cui Frédéric Beigbeder, critico letterario del Figaro: «Frédéric Beigbeder (da Guéthary, Pirenei-Atlantici). Uno scrittore, di solito, non è abituato a vedere tante persone, vive da eremita con i propri libri, per cui il confinamento non cambia molto. Sono assolutamente d'accordo Frédéric, dal punto di vista della vita sociale non cambia quasi nulla. Ma c'è un punto che dimentichi di prendere in considerazione (forse perché, vivendo in campagna, sei meno vittima del divieto): uno scrittore ha bisogno di camminare».

E per l'autore di Sottomissione il confinamento diventa allora «l'occasione ideale di dirimere una vecchia querelle tra Flaubert e Nietzsche». «Da qualche parte (mi sono dimenticato dove), Flaubert afferma che si pensa e si scrive bene solo da seduti. Proteste e derisioni da parte di Nietzsche (anche qui mi sono dimenticato dove), che si spinge fino a dargli del nichilista (lo disse dunque all'epoca in cui aveva già cominciato a utilizzare il termine in maniera sconsiderata): lui stesso ha concepito tutte le sue opere camminando, tutto ciò che non è concepito in movimento è terribile, del resto è sempre stato un danzatore dionisiaco, etc. Nonostante io non provi una simpatia esagerata per Nietzsche, devo riconoscere che in questo caso ha ragione lui. Provare a scrivere, se durante la giornata non si ha la possibilità di camminare per diverse ore a un ritmo sostenuto, è fortemente sconsigliabile: la tensione nervosa accumulata non riesce a sciogliersi, i pensieri e le immagini continuano a girare dolorosamente nella povera testa dell'autore, che diventa rapidamente irascibile, se non addirittura pazzo», scrive Houellebecq.

Poi risponde all'amico Emmanuel Carrère. «Nasceranno libri interessanti ispirati da questo periodo? È la domanda che si pone. E che mi pongo anch'io (...) Sulla peste sono state scritte molte cose, nel corso dei secoli, la peste ha interessato molto gli scrittori. Ma con questa epidemia, ho qualche dubbio. Anzitutto, non credo neanche per un attimo alle dichiarazioni del tipo nulla sarà più come prima. Al contrario, tutto resterà esattamente come prima. L'andamento di questa epidemia è persino straordinariamente normale. L'Occidente non sarà eternamente, per diritto divino, la zona più ricca e sviluppata del mondo; tutto ciò è finito da diverso tempo ormai, non è più uno scoop», analizza Houellebecq.

Il principale risultato della crisi del Coronavirus sarà quello di «accelerare alcune mutazioni in corso», sottolinea. «Da diversi anni, l'insieme delle evoluzioni tecnologiche, piccole (il video on demand, il pagamento senza contatto) o grandi (il telelavoro, gli acquisti su internet, i social network) hanno come principale conseguenza (o come principale obiettivo?) la riduzione dei contatti materiali, e soprattutto umani. L'epidemia da Coronavirus offre una magnifica ragion d'essere a questa pesante tendenza: una certa obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane», osserva lo scrittore francese. Secondo Houellebecq, «sarebbe altrettanto falso affermare che abbiamo riscoperto il tragico, la morte, la finitudine etc. La tendenza da più di mezzo secolo a questa parte, ben descritta da Philippe Ariès, è quella di dissimulare la morte, il più possibile; ebbene, mai la morte è stata così discreta come in queste ultime settimane. Le persone muoiono sole nelle loro stanze d'ospedale o nelle case di cura, e vengono subito seppellite (o cremate? La cremazione è più nello spirito del tempo), senza nessuno accanto, in segreto». «Tutte queste tendenze conclude Houellebecq esistevano già prima del Coronavirus; si sono solamente manifestate con una forza nuova.

Dopo il confinamento, non ci sveglieremo in un mondo nuovo; sarà lo stesso, ma un po' peggio».

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