I nipoti del "Giustiziere" Charles Bronson mettono ko anche i concorrenti nelle sale

Dal remake con Bruce Willis a "The Punisher" all'eroina di "Oltre la notte"

I nipoti del "Giustiziere" Charles Bronson mettono ko anche i concorrenti nelle sale

C'è un genere cinematografico che non tradisce mai. Passano gli anni, cambiano le mode, ma la gente compra volentieri il biglietto per vedere un bel film di azione. Meglio ancora se infarcito da qualche buona scazzottata, quelle che hanno trasformato in miti gente come Stallone, Schwarzenegger, Willis e compagnia cantando. E pazienza se, spesso, queste pellicole sfuggano alle leggi della fisica e della biologia. La gente si diverte, si identifica, parteggia per l'eroe, o presunto tale.

È successo, di recente, con il rifacimento de Il giustiziere della notte, firmato da Eli Roth, ovvero action e horror mischiati insieme, non a caso interpretato da Bruce Willis che, nel film, mena e spara che è un piacere. Remake (ma è sbagliato chiamarlo così) del primo memorabile giustiziere del grande schermo, quello a cui diede volto immortale Charles Bronson, la pellicola racconta come, in una Chicago dei giorni nostri, un uomo pacifico, di professione chirurgo, constatata l'impossibilità di veder consegnati alla giustizia i delinquenti che gli hanno ucciso la moglie e mandato in coma la figlia, decida di farsi giustizia da solo. Giusto? Sbagliato? Di sicuro lo spettatore, uscito dalla sala, si interroga con il classico «cosa farei io al posto suo?». Che è poi ciò che succede su Netflix, dove impazza un altro «revenge», quel The Punisher (basato sull'omonimo personaggio dei fumetti Marvel Comics e del quale era uscita una trasposizione cinematografica nel 2004) in cui un ex marine, Frank Castle, al quale hanno sterminato la famiglia, inizia la sua personale vendetta contro i responsabili del massacro, portando poi avanti questa sua opera da giustiziere, come ragione di vita. E, sempre in questi giorni, è nelle sale Oltre la notte, il film di Fatih Akin nel quale una donna (Diane Kruger), dopo che due neonazisti le hanno ucciso, in un attentato, marito e figlio piccolo venendo poi assolti in tribunale, decide di vendicarsi a modo suo, per ritrovare, in qualche modo, la pace perduta.

Tre personaggi diversi, accomunati dallo stesso desiderio di giustizia, reclamata, non ottenuta per vie legali, imposta per altre strade. Certo, l'action non è tutto qui, anche se, spesso, la vendetta è l'anima di questo particolare genere cinematografico che conta, come detto, tanti estimatori. Addirittura c'è un sito, «i 400 calci», testata online di critica cinematografica, che ha imposto, in maniera simpatica, la propria idea di cinema, con grande successo di pubblico, mettendo al centro due dei generi più gettonati dalla gente che paga il biglietto, definiti «cinema da combattimento», quelli di solito schifati dai critici snob: horror e, appunto, action. Utilizzando un linguaggio basato sull'umorismo e l'autoironia, fruibile immediatamente dallo spettatore. Secondo loro, per capirsi, Schwarzenegger e Van Damme sono più importanti di Marlon Brando.

È da poco uscito I 400 calci. Manuale di cinema da combattimento (MagicPress, pagg. euro 18), un volume, ma lo si dovrebbe definire un manifesto filosofico, che racchiude una selezione dei migliori articoli apparsi sul sito, opportunamente suddivisi in sezioni utili per approcciarsi meglio al cinema horror e di azione. Come, ad esempio, «Le basi», dove trova ospitalità il mitico Die Hard interpretato da Bruce Willis. Scrive l'autore che si ribattezza George Rohmer: «Questa è una delle nostre pietre miliari, uno di quei film che ti spiattella in faccia una verità per noi incontestabile: ovvero che il cinema di menare è molto più cinema di tanto altro cinema. Diffidate di chiunque sostenga il contrario... Die Hard è un'apoteosi di cinema che ha cambiato la faccia dell'action americano. È anche un film così cazzutamente archetipico da diventare la sintesi ideale di tutta la cazzutaggine americana».

Qui, non potevano mancare Rambo o quel Top Gun che «nel caso non lo sappiate, è una di quelle storie che dovrebbero raccontare nelle scuole di cinema. È il trionfo dei peggiori valori, della malvagità assoluta». Jackie Chan è un altro dei beniamini della redazione. Per Project A - Operazione pirati (1983), scrive Quantum Tarantino: «Chan è una macchina perfettamente oliata che sferra calci e incassa soldi: un acrobata dalle capacità sovrumane che non ha paura di niente, eccetto forse l'insuccesso, e un artista (marziale e non) molto più colto e scaltro di quanto il suo alter ego cinematografico lasci intendere». Il libro contiene anche alcune interviste, compresa quella a Schwarzy che confessa: «Il vantaggio che abbiamo io, Sly, Van Damme o Chuck Norris è che ci siamo sempre tenuti in esercizio, tutti i giorni, e la gente lo sa; per questo è difficile rimpiazzarci. La gente sa che siamo i numeri uno in ogni ambito.

Sly sa tirare di boxe, Van Damme ha fatto arti marziali tutta la vita e così anche Chuck, io sollevavo anche 250 chili. La gente sa che noi siamo the real thing».

Del resto, a Van Damme è attribuita la frase: «I miei film sono internazionali. Tutti capiscono uno schiaffo in faccia». Tutti, tranne i critici con la puzza sotto al naso.

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