I Premi Ciak alla commedia E Verdone "adotta" Sibilia

"Un giorno lavoreremo insieme", dice il veterano del giovane autore di Smetto quando voglio Che si aggiudica la palma come migliore rivelazione

I Premi Ciak alla commedia E Verdone "adotta" Sibilia

Sotto il sole di Roma e sulla terrazza del Vittoriano, brillano i Ciak d'oro 2014. Il mensile diretto da Piera Detassis ha decretato il trionfo de La grande bellezza di Sorrentino, che porta a casa 8 Ciak d'Oro, grazie ai riconoscimenti andati a Toni Servillo (Miglior attore), Sabrina Ferilli e Carlo Verdone (Migliori attori non protagonisti), Francesca Cima e Nicola Giuliano di Indigo Film (Migliori produttori) ed infine al direttore della fotografia, allo scenografo e alla costumista. 4 i Ciak d'Oro andati a Il capitale umano di Paolo Virzì: per la regia, la sceneggiatura, la Migliore attrice protagonista, Valeria Bruni Tedeschi e il Miglior montaggio di Cecilia Zanuso. Miglior film straniero La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, con un premio a parte per Monica Bellucci, che vince un Super Ciak d'Oro femminile «per l'intelligenza con cui ha saputo condurre la propria carriera tra cinema popolare e cinema d'autore in una chiave internazionale e da grande star». La vera sorpresa, però, è rappresentata dai due riconoscimenti al film Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, votato come Miglior rivelazione dell'anno. È come se, ai capi dello stesso filo rosso, la commedia, ci fossero Verdone, classe 1950, e Sibilia, nato nell'81. «Il premio di Ciak è affidabile: tutti valutano le schede con serietà. E ringrazio le persone che hanno apprezzato il mio intervento: dedico il riconoscimento a tutte le persone che hanno lavorato con me», dice Verdone. «Forse m'hanno premiato, perché m'hanno visto recitare al di fuori della commedia», osserva il regista, che prepara un film «sulle emergenze dei giovani». «Ancora non so cosa sarà, ma riguarderà un problema giovanile, che finora non ho trattato. Quando sono stato a Bloomington, nell'Indiana, per una lezione sul mio cinema, mi ha colpito che, nell'ora di pausa, tutti gli studenti fossero chini sul computer: guardavano su Netflix le puntate di House of Cards che s'erano persi, Ecco dov'è finito il pubblico tra i 18 e i 24 anni: sull'Ipad, sul PC. La cosa mi spaventa», riflette l'autore.
«Andare in sala è un rito obsoleto. Ma la mancanza di condivisione delle emozioni m'inquieta. I giovani credono di avere tanti amici, ma che cos'è la condivisione col pollice su, pollice giù?». Certo, meglio incontrarsi di persona. «Con Sibilia abbiamo fatto amicizia sul treno, chiacchierando. Lui è innamorato del mio primo cinema, da Borotalco ad Acqua e sapone: li considera Roma città aperta, sghignazza Carlo, troppo autoironico per giocarsela da vecchio maestro. "Ora mi piacerebbe fare qualcosa che non ho mai fatto: togliermi giacca e cravatta, portando il mio personaggio a un livello più basso. Ci dev'essere il mondo dei giovani, nel mio cinema futuro». Per i numerosi tagli, apportati da Sorrentino al suo film, Carlo non prova risentimento. Anzi. «Purtroppo, a noi registi, capita. Mi è capitato, girando Maledetto il giorno che t'ho incontrato, di tagliare la parte di Didi Perego. Colpa mia: avevo fatto un film di 2 ore e 25. Con dolore, scrissi una lettera a Didi, che era malata, ma io non lo sapevo. Poi, lei morì. Senza che potessi darle soddisfazione». Intanto, c'è un'altra cosa che Carlo rimpiange. «Un paio d'anni fa avevo scritto un film, ma De Laurentiis, leggendo il copione, allargò le braccia. Io, quando vedo i produttori perplessi, lascio perdere. Bene: avevo scritto Maps to the Stars di Cronenberg. Sì: il protagonista era un motivatore di attori in crisi, proprio come John Cusack. Solo che la mia era una commedia. Certe cose sono nell'aria». Girerebbe un film con Sibilia? «Certamente, magari un giorno accadrà, su qualcosa ci metteremo d'accordo», conclude Verdone.
Se cambia la fruizione del prodotto audiovisivo, ci sarà un modo per riportare i giovani al cinema. «Il modo c'è, va perfezionato», coglie la palla al balzo Sidney Sibilia, che dalla natìa Salerno ha inseguito il sogno del cinema nella Capitale. Dinoccolato, all'apparenza mite, il regista, sceneggiatore e produttore ha le idee chiare. «Mi sembra paradossale ci sia una società che relega ai margini le sue menti migliori. Ho ideato il mio film, dopo aver letto un articolo sui giovani e il lavoro che non c'è.

Però, il centro del mio film non è la critica sociale. Nonostante il discorso sui baroni universitari, che hanno abbandonato la meritocrazia da un bel po', e il discorso sulle giovani generazioni digitalizzate. Io volevo solo far ridere le persone».

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