Coi Jethro Tull ha portato il flauto e una Bourrée di Bach nel mondo del rock, oggi il guascone Ian Anderson lancia una nuova provocazione e, a 40 anni dallo storico Thick As a Brick, caposaldo del rock progressivo, pubblica Thick As a Brick 2 in uscita martedì prossimo, accompagnato da una tournée che lo porterà in Italia il 31 maggio a Torino, il primo giugno a Milano e il 2 a Modena. Protagonista (inventato) dellalbum era Gerald Bostock, un bimbo-prodigio di 10 anni che oggi ne ha 50, cosa starà combinando? «Lalbum è un viaggio rock - racconta Anderson - per dimostrare quanto la nostra vita sia influenzata dal destino. A causa di eventi del tutto accidentali uno prende una strada piuttosto che unaltra, il tema del fato mi ha sempre affascinato e ho voluto raccontarlo ancora attraverso Gerald. È un progetto a cui tengo molto e per far capire i testi a tutti sul mio sito li ho tradotti in parecchie lingue, dallitaliano al russo».
Nostalgia del passato?
«Il disco guarda solo al presente e al futuro. Ho nostalgia del passato solo perché ero giovane, ora sono più saggio, ma non so fino a che punto sia un vantaggio».
Perché non coinvolgere nel progetto i Jethro Tull?
«Lo avrei fatto ma devo dire che fisicamente e mentalmente gli altri non se la sentono più di suonare né dal vivo né in studio. Io non rinuncio al rock e agli esperimenti quindi ho trovato un manipolo di grandi musicisti e sono molto soddisfatto».
Come è cambiato il suo modo di suonare e di comporre?
«Amo scrivere qualunque cosa, quindi compongo di getto e poi provvedo a dare un senso compiuto al testo. Nel suonare invecchiando sono diventato maniaco della perfezione, mentre prima mi lascivo andare di più allimprovvisazione e allestro del momento. Ma dal vivo i miei concerti non sono mai uguali».
Come sarà il tour italiano?
«Spettacolare e per me molto faticoso. Suono flauto, chitarra e altri strumenti e ho dovuto studiare molto perchè nel cd li suono contemporaneamente con le sovraincisioni. Dal vivo invece mi devo arrangiare ma io amo le sfide».
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