Cultura e Spettacoli

La cultura di destra esiste. Su quella di sinistra è più che lecito dubitare

Torna il celebre e polemico articolo di Raboni che smontò la superbia dell’intellighenzia

La cultura di destra esiste. Su quella di sinistra è più che lecito dubitare

Ogni tanto si apre il dibattito sulla cultura di destra, inutilmente, visto che era già stato aperto e chiuso da un articolo tanto perentorio quanto giustamente famoso del grande poeta Giovanni Raboni sul Corriere della sera del 27 marzo 2002. Lo troviamo stampato con il titolo originale I grandi scrittori? Tutti di destra in una bella edizione De Piante che include anche una introduzione di Luca Daino e un saggio conclusivo di Franco Cardini. Di Raboni possiamo leggere, oltre all'articolo principale, anche un inedito affondo, di poco precedente, e la replica d'autore al chiasso suscitato.

L'articolo è uno sterminato elenco per difetto dei grandi autori del Novecento che si potrebbero idealmente «assegnare» a una delle tante destre. Non lo ripetiamo qui. Ci limitiamo a qualche italiano: Croce, D'Annunzio, Gadda, Landolfi, Marinetti, Montale, Palazzeschi, Papini, Prezzolini, Tomasi di Lampedusa. Mancano nomi giganteschi (Malaparte e Longanesi, per dirne due) ma non è questo il punto. Dopo aver letto Raboni, la pretesa di far coincidere la sinistra con la cultura può essere solo una provocazione o un segno di analfabetismo.

Raboni tocca tanti temi. Il poeta è ben consapevole di aver dato il via anche a un divertente gioco di società, per quanto radicato in una polemica reale. È rischioso far coincidere la posizione politica dell'autore con la posizione politica espressa dalla sua opera. C'è il rischio di prendere qualche cantonata. Gli scrittori sono spiriti liberi e mal si adattano alle gabbie ideologiche. Facciamo qualche esempio. Pier Paolo Pasolini è sempre stato un uomo di sinistra ma la sua poesia-testamento (disse che dopo quelle della Nuova gioventù non ne avrebbe scritte altre) si rivolge a una «destra sublime» che potrebbe opporsi all'omologazione imposta dal capitalismo seguendo una nuova tavola della legge in soli tre comandamenti: «Difendi, conserva, prega». Antonio Delfini è sempre stato un uomo di destra ma la sua opera-chiave, scherzosa ma non troppo, è un manifesto per un partito «comunista e conservatore». Ci sono poi uomini inclassificabili come Giuseppe Berto. Aveva attraversato il fascismo, ne era rimasto deluso ma non per questo voleva arruolarsi nell'antifascismo militante che ai suoi occhi coincideva col comunismo (aveva visto giusto). Si disse dunque «afascista» e venne più o meno cancellato dalla lista degli autori presentabili in società, salvo ottenere sempre un notevole successo di pubblico. E oggi? A sinistra, dopo decenni di conformismo prima all'ombra dell'ideologia e poi del carrierismo, è tramontata la libertà di pensiero ed è sorta la libertà di pensierino. Il respiro della cultura di sinistra si è fatto corto. La sinistra combatte le battaglie del politicamente corretto, scollegate da qualunque visione complessiva dei problemi. I risultati sono discutibili: invece dei «froci» oggi vengono picchiati i «gay» ma la sostanza purtroppo non cambia. La difesa delle minoranze si è trasformata in una offesa alla libertà di espressione, in forme a volte comiche (la schwa) altre volte meno (la violenza della cancel culture). La rivendicazione dei diritti si è invece trasformata nella distruzione del Diritto, che per essere davvero tale non può sopportare troppe eccezioni.

A destra, l'offerta non è mai stata così ampia. Lasciamo perdere gli elenchi, finiremmo per dimenticare qualcuno. Ci limitiamo a segnalare qualche novità impilata sul comodino. Abbiamo: Capitalismo: l'ideale sconosciuto di Ayn Rand, edito da Liberilibri, punto di riferimento del mondo libertario; I liberali non hanno canzoni di Rossella Pace, edito da Rubbettino, punto di riferimento del mondo liberale; La quinta stagione di Léon Kochnitzky, edito da Giubilei-Regnani, punto di riferimento del mondo conservatore; Di notte, davanti alla parete con l'ombra degli alberi di Peter Handke, edito da Settecolori, marchio storico della Nuova destra; Aurélien di Louis Aragon, edito da Gog, una delle tante realtà «corsare» che lanciano provocazioni tanto a destra quanto a sinistra; La Passione secondo i nemici e altri testi teatrali di Luca Doninelli, edito da Ares, punto di riferimento del mondo cattolico.

Quando si dice «cultura» si intende anche «gestione politica della cultura». In questo, la sinistra di oggi eredita un sistema di potere nei ministeri, nell'accademia, nei festival, nei premi, nella grande (?) editoria. I risultati, in questo campo, non contano. Basta guardarsi attorno per vedere i rappresentanti di una specialità italiana, il fallito di successo, che passa da un flop all'altro senza mai uscire dal novero dei candidati a tutto. Questo sistema quasi impenetrabile non è basato sul merito culturale ma sull'amicizia, che sarebbe meglio chiamare con il suo vero nome: servilismo. Chi è dentro non molla l'osso, e chi ne è fuori farebbe qualunque cosa per entrare.

Cosa comporta tutto questo? L'inesistenza di un vero dibattito, parlano sempre gli stessi e dicono sempre le stesse cose, e dunque la inarrestabile, progressiva irrilevanza della cultura italiana «ufficiale».

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