Il personaggio della settimana

Così ci hanno fregato

Non si conoscono, le loro storie sono diverse eppure accomunate da un sottile filo che è la menzogna: i casi di Imen Jane e Malika Chalhy

Così ci hanno fregato

Non è stata certo una settimana facile per i buonisti di casa nostra. Prima Malika Chalhy e poi Imen Jane hanno sgretolato la loro narrazione dell'integrazione senza condizioni che porta al successo e al lieto fine. Le due ragazze sono accomunate alla base da un fattore: hanno preso in giro gli italiani. In modi diversi e con risultati diversi, ma entrambe hanno detto una bugia e noi, anzi loro, i creduloni, hanno abboccato.

Partiamo da Malika. Ad aprile i social e i media schierati "dalla parte giusta" hanno speso parole su perole per questa ragazza giovanissima, cacciata di casa perché lesbica. Un abominio davanti al quale, giustamente, tutti ci siamo indignati. Si scoprirà solo dopo qualche giorno che la sua famiglia è musulmana. Perché è stato omesso in una prima versione del racconto? Non sarebbe cambiato nulla nel giudizio dei fatti ma avrebbe aiutato a contestualizzare. Per Malika è partita una gara di solidarietà senza pari che ha portato oltre 140mila euro nelle sue tasche. Una bella cifra frutto di due raccolte fondi. "Aiutare mia cugina a ricostruirsi un futuro", si legge nell'intestazione di una delle due.

Messa così, alla luce dei fatti, uno pensa: "Poverina, avrà bisogno di una casa. Magari vuole studiare. Ha bisogno di supporto". E infatti in tantissimi donano per aiutare Malika a ricostruirsi un futuro. Dona anche chi, forse, avrebbe il suo stesso bisogno di aiuto ma non ha la fortuna di avere una storia mediatica. Perché in Italia funziona così, ci sono storie che tirano più di altre perché il tema è instagrammabile e allora viene cavalcato dagli influencer bramosi di consenso, che lo fanno diventare virale. In tempi non sospetti c'era già chi ci vedeva qualcosa di poco chiaro in tutto questo.

La raccolta fondi arriva a 140mila euro, Malika diventa una bandiera del movimento Lgbtq+ e nel suo profilo iniziano a comparire i post di ringraziamento agli hotel, le foto delle apparizioni televisive e quelle circondata dai giornalisti, che fanno tanto "so' famosa". Poi si scopre, grazie a Selvaggia Lucarelli, che quella raccolta fondi è servita alla ragazza per acquistare una Mercedes e un cagnolino di razza. Che uno dice: "Con tante macchine, proprio una vettura di lusso?". E vabbè, dice che è stato "uno sfizio". È giovane e sfrontata, come dice lei "non ha puntato la pistola in testa" a nessuno per donare. Che sia moralmente tenuta ad aggiornare chi ha contribuito alla raccolta fondi nata con lo scopo di "ricostruirsi un futuro" è un altro discorso.

Ma il cane? Perché acquistare un french bulldog in un allevamento, quando i canili strabordano di cani abbandonati? "Mi piaceva la razza, devo giustificarmi perché spendo i miei soldi come voglio?", ha risposto. E questo dice più di quanto non possa dire l'acquisto di una Mercedes. Perché lei stessa sa cosa vuol dire sentirsi rifiutati e abbandonati, con la differenza che Malika qualcuno pronto a salvarla (non solo metaforicamente visti i 140mila euro raccolti) l'ha trovato. Poteva ricambiare così, con un gesto simbolico, il bene ricevuto. Invece ha perso l'occasione. Ma forse per lei i cani hanno un'altra valenza e il bulldog probabilmente è stato scelto perché fa like social. "Il cane è un bene di prima necessità", ha detto alla Lucarelli. Un bene, capito? Come se fosse un oggetto.

Ora, tutti quelli che si sono spesi per lei, che hanno usato la sua storia come volano per la loro propaganda, perché non si dissociano? Dov'è Alessandro Zan? Eppure il fratello di Malika ci aveva ben messi in guardia dalla sorella in tempi non sospetti. Intervistata a La Zanzara poco dopo l'esplosione del caso, Samir disse: "Due giorni dopo il coming out ha chiamato Le Iene e le ha portate sul posto di lavoro di mio padre, ha messo benzina sul fuoco, non ha dato tempo ai miei genitori di assimilare la cosa". E ancora: "La raccolta fondi l’ha organizzata lei prima di mettere il video, ha fatto tutto per soldi. Ha tradito la famiglia per denaro”". A La Nazione, quindi, ha raccontato che nel 2019 la sorella ha fatto il provino per Uomini e donne

In questa settimana orribile per i buonisti c'è anche il nuovo caso di Imen Jane, la ragazza di origine marocchina che per anni si è spacciata per economista finché poi non è stato scoperto che non ha nemmeno la laurea. Ha collaborato con i ministeri, ha partecipato a meeting internazionali millantando un titolo inesistente e gli italiani, sempre i soliti boccaloni, ci hanno creduto.

Passa il tempo, il fenomeno si sgonfia e di Imen si perdono le tracce per qualche mese. Solo la sua bolla, il cerchio dei suoi contatti si ricorda ancora della sua esistenza. Poi va a Palermo per un evento ambientalista in compagnia di alcuni colleghi ed ecco che, proprio nella settimana in cui i buonisti si scoprono nudi davanti al caso Malika, Imen torna alla ribalta per aver fatto emergere in modo dirompente il suo classismo e la sua spocchia tipicamente radical chic.

Insieme all'amica ha deriso una commessa che non era a conoscenza della storia del locale in cui lavora. "Mi pagano troppo poco per fare anche questo", avrebbe detto la commessa a Imen e all'altra ragazza. La poveretta si è trovata quindi al centro di una erudita disquisizione sulla poca voglia di fare dei giovani, che guadagnano poco perché non sono intraprendenti. La lezioncina delle due milanesi in vacanza ai palermitani non è piaciuta, anche perché sentirsi dire di studiare da una che ha costruito il suo personaggio su una laurea millantata e mai conseguita bhe, fa ridere.

Se a questo si aggiunge il provincialismo di bassa lega da parte delle due ragazze che, sentendosi superiori, hanno utilizzato gli "inglesismi milanesi" nel rivolgersi al personale dell'hotel che li ha accolti, con tanto di sorrisini, va da sé che le due incarnano alla perfezione il modo di essere dei radical chic. Con la differenza che la maggior parte, furbescamente, evita di esporsi in questo modo.

Da queste due storie si potrebbe probabilmente trarre una morale, che per altro è ben evidente. Ma non sta certo a noi rivelarla. Magari, però, noi italiani potremmo imparare a essere un po' più furbi per sgamare a distanza l'odore della fregatura, prima che questa ci arrivi sotto il naso. Potremmo così evitare di ergere a simbolo chi non lo merita, solo perché sono quel tipo di personaggi che funzionano per la narrazione buonista.

E ci potremmo evitare figure barbine, come quella che stiamo facendo con il caso di Malika, finito anche sulla stampa argentina.

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