
Esiste ancora la privacy nel 2025? Possiamo ancora mandare messaggi senza che qualcuno possa effettuare screenshot e girarli a chi che sia? È un tema particolarmente attuale dopo la diffusione delle conversazioni di Raoul Bova con una modella e influencer, Martina Ceretti, che non solo sono diventati di dominio pubblico ma sono addirittura diventati virali sui social. Al di là di chi li abbia diffusi o di chi li abbia proposti, resta il tema di fondo della violazione di una sfera che sarebbe da ritenersi privata e, quindi, altamente tutelata. E dire che il caso Bova non è nemmeno l'unico, basti pensare ai messaggi tra Fedez e Angelica Montini a quelli tra Wanda Nara e Mauro Icardi. E l'elenco potrebbe essere ancora molto lungo. Sono casi profondamente diversi tra loro, che però hanno come comune denominatore la diffusione di scambi privati.
Che sia un messaggio galante, uno scambio di opinioni o una litigata, il risultato non cambia: se viene scritto e inviato, si è potenzialmente a un passo dal vederlo stampato sui titoli dei giornali, trasformato in un meme virale o, peggio, usato come boomerang. E non importa se solo il vicino conosce il tuo nome o se sei il più importante dei personaggi pubblici, perché i social hanno sfondato una sorta di membrana che mette tutti sullo stesso piano per quei famosi 15 minuti di celebrità, che sia voluta o meno, che sia positiva o negativa. Quando si manda un messaggio, che sia scritto o vocale, ci si affida al destinatario, si stringe un implicito patto di fiducia nella speranza che quanto viene scritto resti una sorta di segreto tra le parti. Ma siamo certi che sia davvero così?
Se Bova non avesse avuto questa convinzione, probabilmente on avrebbe mandato quei messaggi, solo per fare un esempio. Ma anche la persona X non avrebbe mandato quel determinato messaggio, vocale o scritto, al suo conoscente se avesse immaginato che sarebbe potuto diventare oggetto di conversazione social. Ogni volta, il copione è lo stesso: una conversazione privata, per i motivi più disparati, esce allo scoperto e diventa un'arma, un pettegolezzo. Talvolta si trasforma perfino in un'umiliazione pubblica. Oggi, l'unica vera forma di protezione non è un'applicazione, ma la presa di coscienza, perché bisogna ormai rassegnarsi al fatto che qualsiasi cosa scriviamo, una volta inviata non è più nostra: è un pensiero scomodo, cinico, ma necessario.
E allora, prima di inviare "quel" messaggio, bisognerebbe forse chiedersi se si sarebbe disposti a vederlo sbattuto in prima pagina, su un social o su un gruppo WhatsApp, visto e commentato da centinaia di persone. Chissà quanti messaggi in meno avremmo mandato, e potremmo mandare, se ci fermassimo a riflettere.