Sei schermi. Tanti (in tutta Italia...) sono quelli in cui da ieri è possibile (ri)vedere lo splendido Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani. Paradossalmente solo uno schermo in più rispetto ai cinque premi (i maggiori, tra cui miglior film, regia e produzione) vinti neanche una settimana fa ai David di Donatello. Certo da domani, assicura la Sacher Film di Nanni Moretti che distribuisce con pervicacia il film vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, la situazione dovrebbe migliorare, qualche sala aggiungersi nel venerdì canonico dell’uscita delle pellicole. Ma il dato evidenzia come i David giunti alla 56esima edizione, pilotati dal 1981 da Gian Luigi Rondi e votati da una pletora di giurati (ben 1751 anche se alla fine partecipano molti meno), non facciano più breccia nel sistema del cinema italiano.
Dove gli esercenti, nonostante le statuette dorate appena vinte, sono restii a riproporre film già «smontati» (come si dice in gergo), dove il pubblico non sembra essere particolarmente affezionato all'argomento (l’imbarazzante premiazione in onda venerdì scorso in seconda serata su Raiuno ha totalizzato 880mila spettatori, quasi la metà di quelli che seguivano il nuovo programma «Supercinema» di Antonello Sarno trasmesso in contemporanea su Canale 5) e dove gli stessi produttori e distributori non fanno troppo affidamento su questo tipo di premi per promuovere i rispettivi film.
David che arrivano a fine stagione quando ormai quasi tutte le pellicole hanno concluso il percorso in sala. Così da ieri è disponibile in dvd e blu-ray Scialla di Francesco Bruni la cui vittoria dei due David (regista esordiente e premio giovani) non compare, per dire, neanche nei comunicati stampa di Rai Cinema che lo distribuisce. Stesso discorso per This Must Be the Place di Paolo Sorrentino (sei David tra cui sceneggiatura e musica) che Medusa ha fatto uscire già da due mesi nelle videoteche e quindi niente traino promozionale. Per non parlare di Habemus Papam di Nanni Moretti (tre David) in home video dal lontano ottobre scorso o di Io sono Lì di Andrea Segre che, dopo la presentazione alla Mostra di Venezia, nonostante la piccola distribuzione, è stato visto da ben 70mila persone ma che non trova un'uscita in dvd neanche ora che la cinese Zhao Tao ha vinto il David come migliore attrice. Le cose però non vanno certo meglio per l’unico film ancora in sala, Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana vincitore di tre David (tra cui miglior attore e attrice non protagonisti) che, dopo poco più di un mese, si ritrova al 22esimo posto del box office senza alcuna possibilità di risalita.
Che farsene quindi dei David generosamente sostenuti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali insieme alla Regione Lazio, Comune di Roma, Provincia di Roma e allo sponsor Bnl Gruppo Bnp Paribas? Anche perché, onestamente, non si può dire che in tutti questi anni il decano dei critici italiani con sciarpa bianca, Rondi, non abbia tentato tutte le date possibili: giugno, luglio, settembre. «Sono molto contento per i fratelli Taviani ma il problema è che questo tipo di premi non hanno più ragione d’essere», teorizza Pupi Avati. Il quale però avrebbe un conflitto d’interessi visto che è proprio lui il grande escluso di questa edizione, neanche una candidatura per Il cuore grande delle ragazze. «Non c’è problema - dice ironico - è una mia prerogativa e ormai una ragione d’orgoglio. Già da molti anni i premi - anche quelli di Venezia o Cannes - sono deprezzati e quasi controproducenti perché promuovono spesso un cinema che non guarda al pubblico. Comunque per me è diventato deprimente il lunedì mattina leggere i risultati al botteghino del cinema di qualità. Anche per questo sono passato alla televisione, sto girando per la Rai la serie Un matrimonio. Mi dà più soddisfazioni».
Forse il vero problema è che, nonostante le comiche parole con cui Rai Movie accompagnava la diretta web dei premi («Paragonabili solo al Premio Oscar»), in Italia nessuno crede più ai David. A partire da chi il cinema lo fa.
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