Cultura e Spettacoli

"Io, agente sotto copertura in un conflitto senza fine"

Parla il protagonista della serie "Fauda" di Netflix: "Raccontiamo la realtà di israeliani e palestinesi"

"Io, agente sotto copertura in un conflitto senza fine"

Dice Lior Raz: «Beh, sì. Doron sono io. Lui è un po' più pazzo di me, è pronto a perdere tutto per raggiungere il suo obiettivo, la sua verità. Ma credo che ci siano molte somiglianze tra noi due, e quando abbiamo iniziato a scrivere era chiaro da subito che lo avrei interpretato io».

Non è una vanteria. Perché il personaggio di Doron Kabilio, il protagonista di Fauda che in questi giorni arriva alla sua terza stagione su Netflix, nasce e prende forma nei lunghi anni che Raz ha passato come agente sotto copertura delle forze speciali israeliane. Uno dei lavori più pericolosi del mondo, oltre le linee nemiche in un conflitto senza fine. E che Fauda racconta senza eufemismi, a volte brutalmente. Proprio qui, in fondo, sta forse il segreto del suo successo planetario.

Come è nata l'idea della serie?

«Con Avi Issacharoff nell'esercito eravamo nello stesso reparto sotto copertura. Quando siamo tornati in Israele ci siamo persi di vista, ma una decina di anni dopo un giorno ci siamo ritrovati nella West Bank e lui chiacchierando mi ha detto: Scusa Lior, tu che sogno hai?. Lì ho capito che il mio sogno era scrivere qualcosa sulle nostre azioni, sui palestinesi, insomma raccontare quello che eravamo stati e la realtà che avevamo vissuto. Non avevamo nessuna esperienza come sceneggiatori ma avevamo le nostre storie personali, la nostra esperienza di soldati, sappiamo come funzionano davvero le cose. Inoltre Avi è un giornalista specializzato in Medio Oriente, ha delle ottime fonti. Alla fine è venuta bene».

Quanto c'è di vero e quanto di fiction?

«Alcune storie sono inventate ma molte storie e personaggi vengono dalla realtà».

Fauda non finge di offrire un punto di vista neutrale sul conflitto. È stata una scelta consapevole fin dall'inizio?

«Io e Ari siamo in Israele, siamo israeliani contenti di esserlo, non siamo palestinesi, quindi scriviamo dal nostro punto di vista. Ma cerchiamo di essere giusti, di non mettere dall'altra parte del conflitto dei personaggi unidimensionali. Abbiamo provato a raccontare le loro storie, a dire che anche il peggiore dei terroristi ha dietro una famiglia per cui si preoccupa. Magari ha appena tirato un missile su Israele ma il suo desiderio è tornare a casa da sua figlia».

Vi preoccupavano le reazioni che la serie avrebbe avuto?

«Inizialmente no, anche perché non ci aspettavamo un simile successo. Non siamo stati a chiederci se mostrare i nostri soldati per quello che sono davvero avrebbe dato fastidio alla sinistra, o se raccontare il lato umano dei palestinesi avrebbe disturbato la destra. Poi il successo è stato tale che ha innescato un grande dibattito, alla fine a sinistra l'hanno definita una serie di destra, a destra ci considerano di sinistra... Per cui direi che va bene così».

Il governo come l'ha presa?

«In Israele di base si può dire quello che si vuole. Comunque devo dire che il governo ci ha dato una mano a girare, è stato prezioso».

Come avete risolto il problema delle location? Non credo che si possa andare tranquillamente a impiantare un set in Cisgiordania.

«Abbiamo dovuto arrangiarci fin dove potevamo. Poi è chiaro che non potevamo pensare di girare a Gaza, alla fine per avere una ambientazione realistica siamo dovuti andare fino nelle Filippine e chiedere aiuto ai militari locali».

E gli attori arabi? Hanno accettato facilmente di interpretare ruoli così schierati?

«Inizialmente qualche dubbio lo avevano, si chiedevano voglio fare davvero la parte del terrorista?. A quel punto ci siamo confrontati con loro, gli abbiamo spiegato il nostro punto di vista e ascoltato il loro, gli abbiamo detto che se c'è qualcosa che gli dà particolarmente fastidio siamo pronti ad ascoltare e cambiare. Abbiamo cercato di essere aperti, di rispettare le loro origini e le loro opinioni».

Siamo alla terza stagione, ve lo aspettavate?

«Devo dire che il successo ci ha preso abbastanza alla sprovvista, in Israele siamo la serie più vista e soprattutto stiamo facendo discutere, e spero che alla fine Fauda diventi anche un ponte tra culture diverse. Intanto in Israele sono molto incuriositi dal fatto che la serie venga guardata in tutto il mondo. Arrivare alla terza stagione quindi è stato un buon risultato. Abbiamo cercato di innovare un po', di fare qualcosa di più scuro, di più emotivamente coinvolgente. La scelta di ambientare a Gaza nasce da questo, anche se poi non siamo riusciti a girare davvero lì».

Lei dice: Doron mi assomiglia. Ma Doron sbaglia, Doron ammazza, Doron ne fa di tutti i colori.

«Ma questa è la vita reale! Io credo che Doron Kabilio sia un personaggio che le persone amano guardare perché è lontano dal tipico eroe. Doron non è perfetto. Magari non riesce sempre pienamente a raggiungere l'obiettivo che si è fissato ma ci prova sempre, ci prova fino in fondo.

Questa è la sua forza».

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