"Io, capitano Maria, in guerra con dolcezza"

L'attrice interpreta un carabiniere deciso, alle prese con molti problemi ma rassicurante

"Io, capitano Maria, in guerra con dolcezza"

Sul set, la prima volta che si è ritrovata una pistola fra le mani, l'ha impugnata, ha chiuso gli occhi, e il «bum» l'ha (assicura Vanessa Incontrada) «semplicemente terrorizzata». Non proprio un inizio esaltante, per il capitano Maria. Fortuna che nella finzione il carabiniere protagonista dell'omonima serie in quattro puntate (da lunedì su Raiuno) è - sia pure dietro il dolce e rassicurante aspetto - un tipo tosto. La malavita le ha ucciso il marito, lei per dimenticare si fa trasferire nella città d'origine, ma qui, assieme ai vecchi problemi (due figli difficili) deve affrontare anche quelli nuovi, posti dalla malavita locale.

Ma è vero che per interpretare Il capitano Maria ha dovuto frequentare un poligono di tiro?

«Per forza. Le esplosioni mi sconvolgono. Quando giravamo delle sparatorie chiudevo sempre gli occhi. Fino a che il regista e autore del soggetto, Andrea Porporati, mi ha sgridato: Ricordati che sei un carabiniere!».

E' la prima volta, nella storia della fiction italiana, che protagonista è - appunto - un carabiniere donna.

«Ma in realtà il mio è soprattutto un carabiniere. Frequentando i rappresentati della Benemerita (quelli veri) ho capito che per loro non c'è differenza tra sessi. La divisa è la divisa. Magari le donne nella loro divisa sono poche, e mai negli alti gradi. Ma non è maschilismo: è che anche qui la parità richiede tempo».

In tv indossare la divisa del carabiniere equivale ad un'investitura di popolarità. Per lei cosa ha significato?

«È stato molto forte. Per il significato, e per il rispetto che le si deve. E sul quale i consulenti insistevano molto: la mia dovevo risultare sempre impeccabile. Ho imparato cos'è il rigore, io che sono una casinara».

E questo capitano Maria? Anche lei le ha insegnato qualcosa?

«Si. Che quando scappi i problemi ti seguono, dovunque tu vada. Maria torna alle sue origini per fuggirli, ma dovrà comunque fare i conti con i fantasmi del passato. Per fortuna talvolta è proprio attraversando i problemi che si riconquista un'armonia. Tornare indietro insomma- finirà per farla andare avanti».

Alcuni trovano questa fiction satura di tragedie. Droga, terrorismo, mafia...

«Sono tragedie della nostra realtà. Raccontiamo come una persona normale fronteggia delle emergenze».

Prima Non dirlo al mio capo, poi Un'altra vita, poi Scomparsa: tutti drammi a forti tinte. Non ha mai voglia di fare un po' ridere?

«Proprio ieri il mio amico Giorgio Panariello è sbottato: Ancora una vedova? Ancora due figli orfani? E basta, co' tutte ste lacrime!. Se sapesse che col prossimo I nostri figli, insieme a Giorgio Pasotti e sempre per la regia di Porporati, racconterò una storia vera di femminicidio... Però poi a giugno girerò Purché finisca bene. E quella, finalmente, sarà una commedia».

C'è ancora qualcuno che si stupisce di scoprire che

lei è spagnola?

«Di più. Che sono spagnola credo lo sappiano tutti. Ora si stupiscono di scoprire che, in realtà, ho un padre napoletano. E che, io che sono catalana, ho una nonna che si chiamava Vincenza Catalano».

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