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Ironia e pudore per parlare d'amore e "disabitudine"

Le poesie di Mario Baudino

Ironia e pudore per parlare d'amore e "disabitudine"

Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, Mario Baudino era parte della pattuglia di giovani poeti che con La parola innamorata impresse una accelerazione verso un nuovo modo di concepire il canto e il fascino rapinoso della poesia. E alla fine degli anni Ottanta, era tra i promotori della manifestazione su La nascita delle Grazie che riportò alla ribalta i temi allora in stato di abbandono del sublime e della bellezza. Presente in momenti decisivi del cammino della poesia, Mario Baudino, che poi ha dedicato energie inesauste al giornalismo culturale, al saggio e al romanzo, ha nondimeno nella sua produzione in versi un suo passo unico, sia sul piano stilistico sia sul piano etico. E il libro appena uscito, che comprende una scelta delle poesie scritte tra il 1980 e il 2018 (La forza della disabitudine, Aragno, pagg. 249, euro 15, con un ottimo saggio storicizzante di Giovanni Tesio) lo dimostra. Il lettore troverà invertito l'ordine temporale, e leggerà innanzi tutto una serie di inediti recentissimi, in cui una delle cifre dominanti è una ironia nuova, che ha il coraggio di richiamare quella obliqua e elegantissima del Parini del Giorno («prendi il buon cioccolatte») e che in un testo come Se ricorda il Montale della produzione dopo Satura, quello che sostituisce alla metafora figure e stilemi che non a caso qualcuno disse pariniani.

Ma tra gli inediti, spicca il lungo testo intitolato Padre. Il distacco ironico qui è pudore, discrezione, sordina messa ai sentimenti in un dialogo con l'ombra del padre che è anche un dialogo con la morte, la memoria privata, la memoria storica, la guerra, le radici, l'esistenza nel suo mistero. Mi ha commosso la pacata bellezza di questa poesia, che diventa altissima senza mai alzare la voce, sino al verso finale, un dodecasillabo come «schiarirono gli occhi e divennero neve». Colpisce in Baudino che certe immagini così recenti vadano a incontrarsi a ritroso con certe del primo libro, Una regina tenera e stupenda, esempio di fedeltà al suo mondo e a se stesso.

In mezzo, il lettore troverà Grazie e Colloqui con un vecchio nemico, con versi di grande felicità metrica, con un senso del ritmo a tratti spettacolare, e quell'Aeropoema che, al di là del titolo futurista, è un libro che contiene monologhi ora narrativi ora cantabili, passaggi linguistici inattesi (il velivolo di D'Annunzio che diventa apparecchio in Marinetti e oggi aeromobile), ed è soprattutto un aereo viaggio poetico nell'amore. Non è un caso che si concluda con quel verso: «Diamo risposta al buio dell'amore» che è il centro focale, forse, di tutta l'opera di Baudino.

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