«A iuto, mi si è ristretto il cinema italiano». La stagione cinematografica 2016-2017 che si è conclusa lo scorso 31 luglio (convenzionalmente, i dodici mesi delle annate sul grande schermo vengono fatti partire ogni 1° agosto, Capodanno della settima arte) ha segnato, suo malgrado, un risultato storico. Per la prima volta, infatti, non trovate traccia, nei primi dieci incassi, di una pellicola italiana. Il cinema di casa nostra è stato, dunque, il grande sconfitto, bocciato dal pubblico pagante che lo ha relegato nella serie cadetta delle sue preferenze. È vero, non ci giocavamo la carta Zalone, dominatore, nel 2015/2016, con il suo Quo Vado? (oltre 65 milioni di incasso). Però, lo scorso anno, festeggiavamo anche il quinto posto di Perfetti Sconosciuti e i suoi non indifferenti 17.262.758 euro. Ora, invece, buio totale. Dobbiamo scendere fino all'undicesimo posto per scovare il nostro primo film, ovvero il simpatico L'ora legale di Ficarra e Picone, l'unico, insieme a Mister Felicità (tredicesimo), di e con Siani, a superare il tetto dei 10 milioni di euro al botteghino. Sono anche le sole pellicole presenti tra i venti miglior incassi, come a dire che solo il 10% (dodici mesi prima, la percentuale era del 25%) dei titoli che hanno richiamato gente in sala sono tricolori. Una vera miseria. Se vogliamo farci del male con la macchina del tempo, si può risalire alla stagione 2010-11, con ben sette nostri film nei primi undici e podio completamente verde, bianco e rosso. Ora, ci è rimasto solo quest'ultimo colore, per simboleggiare un bilancio che ci fa nascondere la testa sotto la sabbia. Quota di mercato? Calata, anzi, crollata dal 30% al 18,55, peggior risultato degli ultimi dieci anni, come ha anche ricordato Franco Montini sul mensile di riferimento Ciak. Biglietti venduti? Peggio che andar di notte, visto che qui il dato si è praticamente dimezzato, scendendo da 31,3 a 17,6 milioni di tagliandi staccati. Qualcuno finge ancora di essere sorpreso da questo andamento? Le commedie italiane, nostro piatto forte, sono, salvo qualche eccezione, mediamente brutte, mal sceneggiate, recitate dai soliti noti che, gira e rigira, rifanno sempre gli stessi personaggi. Attori che si sono fossilizzati nei loro ruoli, finendo per farti confondere anche i titoli dei loro film, visto che raramente si distaccano da certi cliché e canovacci. Per non parlare della demenziale, quella sì, politica distributiva che ha partorito, nell'ultimo Natale su grande schermo, un calendario che prevedeva, in quindici giorni, le uscite di Un Natale al Sud (con Massimo Boldi), Non c'è più religione (con Claudio Bisio), Fuga da Reuma Park (con Aldo, Giovanni e Giacomo), Natale a Londra (con Lillo e Greg) e Poveri ma ricchi (con Christian De Sica). È un caso che nessuno di questi sia finito nei primi venti posti? Ovviamente no, vittime, ma non solo, dell'effetto cannibalizzazione.
Liala, in un suo romanzo, diceva che «Il sole, se tramonta, può tornare», ma in fondo a questo buio pesto si fa fatica a vedere, non dico la luce, ma anche solo una fiammella fioca di speranza.
Complice anche la vecchia politica dei finanziamenti pubblici, abbiamo perso la fame di fare dei buoni film. Non che ci manchino le capacità. Semplicemente, ci siamo disabituati a farli, ci accontentiamo, convinti di poter vivere di rendita. Il pubblico, però, ha capito il bluff.
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