Cultura e Spettacoli

Jacopetti, il liberale radicale che non piaceva alla critica chic

È stato oggetto di molti pregiudizi, ma da morto corre un rischio pure maggiore: quello dell'oblio immeritato

In vita Gualtiero Jacopetti (1919-2011) è stato oggetto di molti pregiudizi, ma da morto corre un rischio pure maggiore: quello dell'oblio immeritato. La persona più titolata a parlare di lui è Franco Prosperi, col quale ha condiviso l'esperienza di Mondo cane e Africa addio, all'insegna del trionfo di pubblico e degli sputi in faccia della critica «ufficiale», che non tollerava il loro anticonformismo.

A metà del decennio Settanta, la coppia scoppiò al punto che per trentasei anni i due smisero di frequentarsi. C'era voluto il ricovero ospedaliero di Gualtiero, presago della fine imminente, per riavvicinarli. Il libro Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio (Edizioni Il Foglio), scritto da Prosperi con Stefano Loparco, è il resoconto di una amicizia ritrovata fra due persone che al di là della lontananza fisica, non si erano mai separate per davvero. Varcato l'ingresso della stanza dell'ospedale, Prosperi verificò che in barba alle condizioni fisiche precarie, l'amico non aveva perduto un grammo della sua vitalità. Tra quelle mura ospedaliere, Jacopetti era un fuoco di fila di battute, frammiste a riflessioni sull'ingratitudine degli uomini. Gli rodevano gli insulti dei detrattori che lo avevano definito «male assoluto», perché coi film aveva dimostrato che tutto il mondo, dall'Europa all'America alle isole più remote, è pieno di esseri umani raccapriccianti che compiono azioni raccapriccianti, perpetrate sia contro animali indifesi sia contro gli umani stessi. Poco prima del commiato definitivo, Jacopetti aveva ancora fiato in corpo per rinnegare l'accusa di essere un razzista e un nichilista, definendo invece se stesso come «liberale radicale» e «terrorista borghese». Scherzava con l'ex collega rinfacciandogli che, pur avendo compiuto delle «malefatte» insieme, Prosperi si era salvato dalle accuse più infamanti avendo dalla sua un carattere più discreto.

Nonostante la morte gli facesse comprensibilmente paura, comunque non se la sentiva di abdicare alle proprie convinzioni, tanto che al prete che lo invitava a pentirsi dei peccati, gli ribatteva che l'unico suo rimpianto era non poterne compiere più.

Mantenendo fede a una promessa fattagli nelle ultime ore, Jacopetti a tutt'oggi vive nelle «stanze della memoria» di Prosperi.

Continuano, entrambi, a credere che il mondo non sia poi così cane, ma solo perché i cani meritano ben altro rispetto.

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