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Sono nato a Parigi ma devo tutto all’America

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Immaginate Salvatore Accardo o Uto Ughi che fanno un disco di musica folk italiana. Scoppierebbe la rivoluzione nel paludato mondo della musica classica. Invece in America Yo-Yo Ma, incontrastato re del violoncello, si permette di accantonare Bach e di conquistare Grammy e primati in classifica cucendo insieme musica country e avanguardia. Lo ha fatto con due album dedicati ai monti Appalachi (culla della country music) e lo fa ora con Goat Rodeo Sessions, splendido coacervo di suoni in quartetto con campioni della musica popolare (trasversale) come Stuart Duncan, Edgar Meyer, Chris Thile.
Come mai un cultore del bel suono come lei si dedica alla musica country, considerata così semplice e retriva?
«Innanzitutto la musica country e bluegrass è la vera radice del suono americano, perché raccoglie in sé stili popolari europei e afroamericani. È molto completa e non è per niente banale».
Ma come si concilia con la serietà della classica?
«È un modo di abbattere le barriere e di divertirsi creando. Suonare country music mi provoca gli stessi brividi che provo guidando una Ferrari a 300 all’ora. È un viaggio senza limiti nell’immaginazione».
Il titolo dell’album è particolarmente esplicativo.
«Goat Rodeo ha un doppio significato. È un termine che indica i mille modi per tirarsi fuori da una situazione pericolosa e al tempo stesso un momento che coinvolge più persone che hanno una diversa percezione di un momento. In entrambi i casi è esattamente ciò che è successo tra noi».
Infatti è un disco difficile con suoni complessi, d’avanguardia.
«Non ci siamo posti limiti. Fra l’altro Meyer e Thile sono artisti country ma suonano a meraviglia anche Bach o Mendelssohn, quindi c’è un continuo interscambio tra noi. Stuart Duncan è un polistrumentista meraviglioso che ha aggiunto anche alcune parti vocali. Per dare un tocco ancora più folk abbiamo incluso nello studio d’incisione di James Taylor, in un magnifico bosco del Massachussets».
Lei infatti ha suonato anche con James Taylor.
«Uno dei migliori chitarristi americani. Ha portato il folk a livelli di perfezione formali incredibili e inoltre sa suonare bene il violoncello».
In Europa la massacrerebbero per un progetto del genere. In America invece arriva in vetta alle classifiche e vince pure dei Grammy, come mai?
«Il pubblico europeo è il più esigente e competente del mondo. In Europa è nata l’opera ed è nata la musica classica. Da noi c’è una forte curiosità per le innovazioni e al tempo stesso per i suoni che vengono dalla tradizione popolare».
E lei è uno studioso di suoni popolari.
«Ho creato il Silk Road Project, il “Progetto della via della seta”, per studiare le culture musicali più diverse. Ad esempio sono un fan di Giovanni Sollima, un altro grande del violoncello. Sono stato in Sicilia, dove è nato, ed ho subito sentito i sapori del folklore locale. Chissà che prima o poi non riesca ad utilizzarli in qualche disco. In ogni luogo c’è qualcosa da scoprire e da mettere in musica. Del resto tutti gli artisti classici - da Bach a Dvorak - sono stati affascinati dal folklore della loro epoca».
Lei è nato a Parigi da genitori cinesi. Per questo ha una visione così multietnica del mondo?
«Sì, anche se la mia vera formazione è avvenuta in America. Da bambino ho suonato persino davanti a John Kennedy e Eisenhower e considero gli Usa il mio Paese di adozione».


Tornando al suo «vero » lavoro, ha nuovi progetti classici?
«Sto lavorando sulle opere di Bach e Beethoven, ma il primo progetto dovrebbe essere un’opera per due violoncelli che Riccardo Muti ha commissionato a me e a Sollima».

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