Cultura e Spettacoli

L'accusa di Wajda: "Racconto il Walesa rimosso dalla storia"

Nell'"Uomo della speranza»" il regista narra la vita dell'elettricista che vinse il comunismo: "Purtroppo spesso si dimentica la verità"

L'accusa di Wajda: "Racconto il Walesa rimosso dalla storia"

nostro inviato a Venezia

Con Walesa, l'uomo della speranza, terzo film della trilogia di Andrzej Wajda (dopo L'uomo di marmo e L'uomo di ferro che già raccontava del leader di Solidarnosc, Palma d'oro a Cannes e Oscar) presentato ieri fuori concorso, un po' di storia ha fatto irruzione alla 70esima Mostra di Venezia, con pochissime eccezioni tutta ripiegata sul minimalismo privato, tormentato e scandaloso anzichenò. Lo stesso arrivo del Nobel per la pace, ha portato una ventata di novità su un red carpet che negli ultimi giorni si stava ammosciando. Il film del regista polacco narra lo sviluppo del movimento di Solidarnosc dai prodromi dei primi scioperi di Danzica nel 1970, con gli arresti e la minacciosa sorveglianza della milizia comunista, fino alla caduta del muro di Berlino. Sfruttando come pretesto e fonte narrativa la celebre intervista a Walesa di Oriana Fallaci (una somigliantissima Maria Rosaria Omaggio), al centro della scena c'è un leader insolito e di grande temperamento (interpretato da Robert Wieckiewicz), sostenuto dalla splendida moglie Danuta (Agnieszka Grochowska) e dalla numerosa famiglia: tutti diversamente partecipi di cambiamenti di portata mondiale.

Chi è Lech Walesa per i giovani d'oggi?
«I giovani di oggi non sanno chi sia. All'epoca era molto popolare, tanti si facevano crescere i baffi come lui. Ma si tende a dimenticare la storia».

Per lei chi è Walesa?
«Io ho visto la Polonia prima sotto l'occupazione tedesca, poi invasa dalla Russia e so quanto sia difficile valutare chi sia davvero il colpevole. Invece non è difficile capire chi è il nostro eroe. Prima di lui, i tentativi di liberare la Polonia diretti dagli intellettuali e dall'aristocrazia finivano con l'insuccesso. Ci è voluto questo elettricista per portarci alla liberazione dal regime senza spargimento di sangue».

Lei conosce bene Walesa: con questo film ha scoperto qualche lato inedito? Appare più presuntuoso di quanto sia in realtà...
«Non ho scoperto nulla che già non conoscessi. Una sorpresa è venuta dalla lettura dell'intervista di Oriana Fallaci rimasta a lungo nella stampa clandestina. Lech vuole apparire nel suo lato migliore per fare buona impressione su una bella donna. È una cosa molto polacca. L'intervista, che mi hanno suggerito i miei collaboratori e io ho subito approvato, doveva essere uno spunto. Invece s'intreccia con tutta la narrazione mostrandoci Lech come uomo e come politico».

Il film mostra anche l'autorevolezza della moglie Danuta...
«È stata una figura fondamentale come fa vedere l'interpretazione di Agnieszka Grochowska. Era una donna che governava la famiglia sapendo ciò che stava accadendo nel mondo. Da poco è uscito un suo libro e spero che ne sarà tratto presto un film».

Nel suo film non si vede mai il cardinal Wyszynski.
«Avevamo girato una scena con il cardinale e Walesa in auto, ma è stata tolta in fase di montaggio. Wyszynski si vede nel filmato della messa di Wojtyla».
Lì il Papa dice: «Scenda il tuo spirito e rinnovi la faccia della terra, di questa terra». Ma nel film il ruolo della Chiesa non sembra decisivo.
«Questo è già stato mostrato. Il Papa era il miglior rappresentante polacco nel mondo, molto più dei nostri ambasciatori a Mosca. Fu fondamentale per far togliere la legge marziale. E prima ancora fu decisiva la sua visita del giugno 1979. Nel film si vede un addetto della milizia che s'inginocchia. Tutti, a cominciare dai dirigenti comunisti, temevano disordini. Invece non accadde nulla, il popolo dei credenti era capace di autocontrollo e disciplina».

Walesa non temeva possibili scontri o l'intervento dei russi?
«Nei primi giorni dello sciopero sono andato al cantiere e ho incontrato Walesa come presidente del cinema polacco. Grazie a questa associazione siamo riusciti ad avere le telecamere. Lui era sicuro che sarebbe andata bene. La genialità di Solidarnosc è stata non riversarsi nelle strade con le armi. La loro arma era la parola. Anch'io partecipavo alle riunioni. Un operaio mi chiese perché non ne facessi un film.

E così eccomi qui».

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