L'anarchico Malet contro islam e borghesia

"Le acque torbide di Javel" esce ora in Italia a vent'anni dalla morte dello scrittore

L'anarchico Malet contro islam e borghesia

«Da un po' di tempo, quei musulmani erano presi di mira da destra e sinistra, interpellati da un'organizzazione o dall'altra che batteva cassa, e il tutto nel nome dei massimi principi che si possono pensare. È vero che, ovunque e in ogni epoca, è stato lo stesso per tutti. Le gru metafisiche, che sollevano (con più o meno entusiasmo) il peso morto degli idioti, non conoscono differenze di clima o di razza». Siamo nel 1957. La guerra d'Algeria è in pieno svolgimento e i francesi che non appartengono alla categoria dei pieds-noirs non vedono di buon occhio gli islamici. Siamo nel 1957, e Michel Houellebecq, succhiando il latte della mamma si appresta a diventare un «piedino nero», visto che i primi passi (letterali, non letterari) li muoverà proprio in Algeria. Molto prima di scrivere Soumission... Siamo nel 1957, e Léo Malet si è già messo alle spalle buona parte del proprio Tourmalet, la scalata più dura (come tradizionalmente è duro quel colle per i ciclisti del Tour) verso le vette del crimine, con Nestor Burma, il suo sbirro privato, a fare l'andatura. Siamo nel 1957, ed esce Les eaux troubles de Javel, perla incastonata nella serie dei «Nuovi misteri di Parigi», che vede Nestor battere, come una prostituta dotata di pipa e fine intelletto, quindici su venti arrondissement della capitale.Questa volta siamo nel XV, e la citazione da cui siamo partiti illustra chiaramente, in tema di integrazione, multiculturalismo, abbattimento delle frontiere, accoglienza e via discorrendo, il Malet-pensiero. Definirlo «scorretto» non gli renderebbe giustizia, attribuendogli, con il senno del poi, il conformismo dell'anticonformismo. Meglio è riconoscergli il realismo che a lui non fece mai difetto, originato dalle sue radici libertarie, poiché fu il milieu anarchico a svezzare il giovane Léo già dai tempi della natia Montpellier, grazie alla conoscenza con il poeta André Colomer. Eh sì, dovunque e comunque ci sono sempre «gru metafisiche» in grado di sollevare «il peso morto degli idioti», lo verifichiamo anche oggi, a vent'anni esatti dalla morte di Malet.Le acque torbide di Javel, fresco di stampa da Fazi (pagg. 171, euro 14, traduzione di Federica Angelini), accogliente porto delle nebbie, per citare il titolo di un altro maestro del noir, Georges Simenon, è un buon modo per ricordare l'ottimo Léo. C'è un ex clochard che lascia la moglie incinta, ci sono tre donne, una bella ragazza francese sua vicina di casa, una maga-mammana di origine nordafricana, un'altra straniera forse dell'Est Europa, che gli ruotano intorno (e viceversa). E c'è un nutrito gruppo di «beduini» composto da affittacamere, operai e rapinatori, alcuni dei quali catalogabili come fellaga, cioè tunisini e/o algerini indipendentisti che pendono sulla testa del fuggitivo come spade di Damocle. C'è la miseria, economica e morale, c'è una città grigia che attende senza entusiasmo il Natale, c'è una misteriosa chiatta sulla Senna... E c'è Nestor Burma. «Nessuno è cattivo. Solo feroce», dice alla terza madame d'importazione, la chiave di tutto. «Se volete cambiare il bastone con cui farvi menare, liberissimi», dice al «beduino» più sveglio della compagnia.Realista, dicevamo, fu l'anarchismo di Malet, prima, durante e dopo il suo periodo surrealista. «Ero operaio in un'impresa di tubature - ricordava durante un'intervista a Yves Martin - e un giorno andai a consegnare un bidet in rue du Clichy... Passando davanti a una vetrina vidi La Révolution surrealiste...». Si informò, lesse, conobbe Breton, annusò quella poetica. «Era una tentazione talmente grande quella di vedere che si poteva diventare un genio lasciando semplicemente scorrere la penna sul foglio...».

Anche Nestor Burma, tutto sommato, lascia scorrere su quel foglio inzaccherato che è Parigi la penna degli eventi, si limita a registrarli e a farne tesoro. Poi però non va al Quai des Orfevres come il suo lontano collega Maigret e non è tenuto a fare rapporto a nessun superiore. È un uomo libero e porta con gusto il peso della libertà.

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