Cultura e Spettacoli

«L'anima gemella è un'illusione. E amare è un lavoro»

Il «filosofo del quotidiano» parla del nuovo romanzo sulle difficoltà del matrimonio

«L'anima gemella è un'illusione. E amare è un lavoro»

Dice Alain de Botton di essere diventato uno scrittore «non per la carriera, ma per necessità emotiva». La sua passione è riflettere, analizzare: «Penso molto su tutto, sono fatto così... Forse non è normale, è la mia ansia. Ma anche il mio piacere». Negli anni ha scritto saggi e riflessioni su molti aspetti della quotidianità: dal lavoro ai viaggi, dal transito negli aeroporti al sesso, dall'architettura a come cambiare la propria vita grazie a Proust. Ha deciso di scrivere «a ventun anni, durante l'università» (a Cambridge e a Londra, dove si è trasferito da piccolo dalla Svizzera) e due anni dopo, nel 1993, ha pubblicato il suo primo libro, Esercizi d'amore. «Ero molto giovane» sorride su un divanetto nel cortile del Mandarin Hotel di Milano, ed è compiaciuto, perché da allora ha scritto altri quattordici libri, molti saggi bestseller (in passato ha spiegato che è così che si mantiene, anche se non ne avrebbe bisogno, visto che ha ereditato una fortuna dal padre collezionista d'arte), è diventato uno scrittore-imprenditore e ha anche creato una «School of Life» a Londra. È tornato a scrivere di sentimenti e di coppia con un romanzo, Il corso dell'amore, pubblicato in Italia da Guanda, come tutti i suoi libri (pagg. 256, euro 18): storia di Rabih e Kirsten e del loro matrimonio. Che è amore, ma non solo...

Come mai, dopo oltre vent'anni, un altro romanzo sull'amore?

"Per me era molto importante scrivere di amore in maniera diversa, in contrasto con i romanzi, le canzoni, i film. Però anche in modo non accademico, con un romanzo: a volte la vita finisce male, soltanto perché leggi il romanzo sbagliato".

Perché sbagliato?

"Di solito si concentrano tutti sull'inizio entusiasmante e la fine catastrofica dell'amore. Io invece parlo di ciò che sta nel mezzo: né estasi, né tragedia".

Che cosa c'è di diverso dal suo primo libro?

"È un romanzo contro il romanticismo. Contro l'ideale di perfezione. E contro una sorta di ingenuità sull'amore. Volevo andare oltre, raccontare la storia di due persone che si innamorano, si sposano e, con gli anni, imparano ad amarsi. È un viaggio per imparare ad amare, alla fine del quale scoprono che l'amore è una abilità, un talento".

E che doti richiede?

"Innanzitutto devi capire che tu stesso sei una persona complicata con cui vivere: tutti abbiamo avuto infanzie difficili, sofferenze, problemi. E, più lo capiamo, più dobbiamo sforzarci di spiegarlo alla persona che amiamo. Non abbiamo bisogno che chi amiamo sia perfetto, ma abbiamo bisogno che ci dica che cosa è difficile per lui, o lei. In questo modo l'amore è un modo per comprendere te stesso come persona".

Nel libro alterna romanzo e riflessioni. Come mai?

"Sono sempre stato attratto dagli autori di romanzi che si possono definire di formazione come Proust, Kundera, George Eliot, Jane Austen. Anche io voglio fare qualcosa di simile, raccontare una storia per una ragione".

Perché il romanticismo è una ricetta per il disastro?

"L'idea centrale del romanticismo è che la comprensione con l'amato sia intuitiva e automatica, e che possa avvenire senza linguaggio: che l'amato ci capisca totalmente, e basta. Una convinzione che può diventare un problema vero".

Il suo è un romanzo non romantico?

"Sì... post romantico, diciamo. Dopo secoli di matrimoni per ragioni pratiche si è passati al matrimonio per puro sentimento: ma è comunque un disastro, perché l'istinto non è una buona guida all'amore felice".

Che matrimonio resta?

"Lo sostituirei con una relazione psicologica, in cui si cerca di comprendere l'altro e di fare meno errori e si apprende la capacità di amare".

Perché dice che «l'amore è solo l'inizio dell'amore»?

"Nei primi giorni c'è una sorta di eccitazione, come in un film. Ma, nella quotidianità, ciascuno attraversa dei momenti ordinari, così tanto disprezzati, e l'arte è fare sì che valgano la pena, siano interessanti. Spesso si è pronti per il matrimonio solo molti anni dopo essersi sposati, come Rabih e Kirsten".

Come è possibile?

"Perché solo dopo molto tempo si raggiunge quella consapevolezza, malinconica e potente insieme, che si è entrambi imperfetti, che dobbiamo comunicare, ridere, imparare l'uno dall'altro e insegnare l'uno all'altro, trattarci con generosità... Il romanticismo odia l'idea delle lezioni d'amore: ma l'unica salvezza per l'amore è abbandonare queste illusioni".

Ma la persona giusta esiste?

"Se è quella che capisce tutto di noi, l'anima gemella, il migliore amico, sempre dalla nostra parte, con cui il sesso è fantastico per cinquant'anni: no, non esiste. Ma esiste la persona giusta abbastanza per noi. La perfezione in amore non esiste: piuttosto dobbiamo lavorare sulle nostre imperfezioni".

E se rimaniamo delusi?

"Qualunque persona può essere una delusione, qualche volta. Nessuno può comprendere completamente un altro. Ma va bene, non è un disastro".

Senta, lei è sposato e ha due figli. Sua moglie che cosa ha detto del libro?

"Le è piaciuto. Perché è un libro dalla parte del matrimonio, non contro: cerco di trovare dei modi affinché il matrimonio possa durare. Lo ha preso bene".

E che effetto pensa di avere sui lettori? È una terapia?

"Spero che arrivino ad avere un senso di rispetto per quanto è dura gestire una relazione, e di partecipazione per i protagonisti e per le persone che amano e le loro difficoltà: è uno specchio, per avere consolazione e conforto. Una signora mi ha scritto: Mi ha aiutato a essere più carina con mio marito - per una settimana".

Meglio che un minuto... Ma alla fine del viaggio di formazione, quando imparano ad amare, due persone che cosa trovano? La felicità?

"Uhm... Comprensione, partecipazione e consolazione, la parola che preferisco.

Capire che anche gli altri hanno dei problemi, è una cosa normale, e che possono essere capiti, non soltanto rimossi".

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