L'arte va alla guerra Così i cubisti inventarono il camuffamento militare

Nell'infuriare del primo conflitto mondiale furono i pittori a cercare un modo per proteggere i soldati

L'arte va alla guerra Così i cubisti inventarono il camuffamento militare

Può sembrare buffo ma, all'inizio, non furono i generali a pensarci. E nemmeno i membri di quel colossale apparato produttivo e scientifico che si mise al servizio delle varie nazioni intenzionate a partecipare alla grande macelleria della Prima guerra mondiale. All'inizio, i generali, soprattutto quelli francesi, diedero il via al conflitto con qualche cognizione chiara - almeno quello - sul peso di nuovi armamenti (come la mitragliatrice) ma con nessuna idea di quanto potesse essere importante il camuffamento in una guerra moderna. Ad esempio lo Stato maggiore francese era stato sedotto soprattutto da due idee: l'élan, ovvero lo slancio in battaglia, e il cran, il coraggio. Istruito il soldato ad esercitare queste due virtù, il resto - con una bella offensive à outrance - sarebbe andato a posto da solo. Quando all'inizio del conflitto le fanterie francesi, indossando una divisa blu con un bel kepì rosso andarono all'assalto non andò affatto così. I soldati francesi, visibili da centinaia di metri, vennero abbattuti come birilli. Del resto non andava meglio alle artiglierie francesi, spesso disposte in bella vista a ridosso del fronte. Fu così che, a esempio, l'artigliere di seconda classe Lucien-Victor Guirand de Scévola vide polverizzare le sue postazioni, vicino a Metz. Guirand de Scévola però non era un artigliere qualunque, era anche un famoso pittore ed era molto noto in Francia come ritrattista, tanto da aver già ottenuto la legione d'onore. Fu lì che iniziò a venirgli in mente di applicare le tecniche della pittura alle divise e agli armamenti.

Con le sue parole: «Allo scopo di deformare totalmente l'aspetto di un oggetto io dovevo utilizzare i mezzi che i cubisti invece usavano per rappresentarlo». Con questa intuizione l'arte andò alla guerra. Guirand de Scévola era abbastanza famoso per farsi ascoltare, la situazione della Francia abbastanza disperata perché si tentasse di tutto. Il pittore iniziò con alcuni esperimenti, mimetizzando un pezzo di artiglieria usando dei pannelli mobili di tela. Risultò irriconoscibile alla ricognizione aerea nemica. Poco dopo si iniziò a mimetizzare i cannoni verniciandoli. E in breve il «fai da te artistico» si trasformò in una vera e propria branca militare.

Il 12 febbraio 1915 il generalissimo Joffre diede ordine che venisse stabilita una sezione camouflage ad Amiens. E da quel momento per i francesi, impantanati nelle trincee, il camuffamento iniziò a diventare un arma vitale, altro che élan. Nel maggio 1915 durante la battaglia dell'Artois iniziarono a comparire nelle trincee francesi gli «alberi»-posto di osservazione: finti vegetali con periscopio all'interno, realizzati così bene da sembrare vere piante, già danneggiate dal tiro dell'artiglieria. Nel frattempo nasceva il corpo dei Camoufleurs. Entro il 1917 la Francia ne schierava più di 3mila e cercava di far pesare militarmente la sua superiorità artistica. Tra i nomi celebri: Jacques Villon, André Dunoyer de Segonzac, Charles Camoin e Charles Dufresne. Si arrivò addirittura a reclutare scultori perché fabbricassero pupazzi da mettere nei posti d'osservazione per attirare il fuoco dei cecchini. Ad esempio il cubista André Mare (1885-1932) era il genio riconosciuto dell'occultamento dei posti di osservazione: fu mandato a collaborare anche con gli inglesi e gli italiani. Venne ferito da uno shrapnel sul fronte della Piccardia mentre montava uno dei suoi posti di osservazione «invisibili».

Ecco, il modello francese si diffuse subito tra gli alleati. Però alla fine quelli che ottennero il risultato più strepitoso furono un gruppo di pittori inglesi, forse artisticamente meno noti dei colleghi francesi, e capitanati dall'acquarellista Norman Wilkinson e il vorticista Edward Wadsworth (1889-1949). Il vero dramma bellico per l'Inghilterra era l'assedio dei sommergibili tedeschi. L'ammiragliato guidato da Winston Churchill si interrogava sin dall'inizio della guerra su come nascondere le navi. Ma era praticamente impossibile, anche a causa degli altissimi pennacchi prodotti dalle caldaie a carbone. L'intuizione di Wilkinson fu quella che la nave non andava nascosta quanto piuttosto renderne la forma ben poco interpretabile. Grazie a delle «strisce» molto simili a quelle delle zebre i pittori inglesi fecero sì che la forma delle navi e la loro velocità fossero difficilmente comprensibili. Lanciare dei siluri nella Prima guerra mondiale comportava calcolare esattamente la rotta della nave e la sua distanza. La zebratura pensata dai vorticisti la trasformava in una forma confusa provocando errori di valutazione nel puntamento nemico. Quanto la tecnica funzionò? Non si riuscì mai ad arrivare a una statistica precisa ma gli stessi comandanti degli U-boot tedeschi confermarono che colpire le navi mimetizzate era molto più complesso.

Anche i tedeschi, per altro arrivati al conflitto con divise decisamente più razionali, mobilitarono gli artisti e gli ingegneri per portare avanti il mimetismo. Ma furono azioni più sporadiche. Il pittore Paul Klee si occupò di camuffare aerei. L'espressionista Franz Marc (1880-1916) realizzò grandi tele con la tecnica del puntinismo per nascondere le artiglierie, sosteneva che il modello più efficace fosse un telone «in stile Kandisky» efficace che ingannava tutti i ricognitori aerei al di sopra dei 2mila metri. Morì a Verdun nel 1916. La pittura a volte può ingannare il nemico, ma non sempre basta. Riuscì però anche a migliorare la condizione dei feriti dopo la guerra.

La scultrice statunitense Anna Coleman Ladd - di cui parla anche la graphic novel War painters 1915-1918. Come l'arte salva dalla guerra (Comicout, pagg. 96 euro 19,10) di Laura Scarpa che sarà in libreria a breve - sviluppò una incredibile tecnica per creare maschere che ricostruivano parti del volto deturpate.

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