Cultura e Spettacoli

"La lettura è uno strumento per evadere dal crimine"

In "L'uomo che amava i libri" lo scrittore George Pelecanos narra il riscatto sociale di un carcerato. "Ho usato i romanzi che amo"

"La lettura è uno strumento per evadere dal crimine"

Sulla qualità dei crime novel di George Pelecanos hanno garantito i vari Barack Obama, Michael Connelly, Dennis Lehane e Stephen King. E che la qualità dei romanzi di questo grande narratore fosse davvero speciale lo ha confermato nel tempo l'impianto sociale di storie come Il sognatore, Vendetta, Il giardiniere notturno, Angeli neri, Strade di sangue, in cui ha raccontato gli Stati Uniti dal punto di vista della strada e delle persone più disagiate che hanno a che fare con i crimini e la malavita.

Con L'uomo che amava i libri (SEM, pagg. 223, euro 18, traduzione di Giovanni Zucca) Pelecanos affronta ancora una volta un tema a lui caro, quello della riabilitazione penale e della possibilità di uscire da situazioni pericolose per chi ha già pagato con il carcere i propri errori. È ciò che accade a Michael Hudson, il quale in prigione non soltanto ha scontato la sua pena, ma si è anche innamorato della lettura grazie alla bibliotecaria Anna. I libri diventano per lui una forma di evasione, ma soprattutto costruiscono nel profondo un nuovo carattere e un desiderio di ripartire su nuove basi. Una volta tornato per strada, Michael dovrà combattere contro il suo passato e sopravvivere a un presente estremamente pericoloso. E fondamentali per lui saranno i libri che ha letto: Uomini e topi di Steinbeck, i racconti western di Elmore Leonard, Il Grinta di Charles Portis, Il Padrino di Mario Puzo, Una tragedia tutta azzurra di John D. MacDonald, etc. «Nel mio lavoro filantropico - spiega Pelecanos - ho incontrato una bibliotecaria, nella prigione di Washington DC. All'epoca non c'era una biblioteca, nella prigione, quindi lei ogni giorno portava un carrello pieno di libri nei vari blocchi e parlava dei romanzi con i detenuti. Sapevo che stava cambiando la loro vita e l'ho trovata una persona affascinante. E se un detenuto si innamorasse di lei, emotivamente e forse fisicamente? E se, una volta scarcerato, si imbattesse in lei per la strada? Come reagirebbe, a questo mondo, un uomo cambiato, una volta ricattato e rispedito in una vita criminale? C'erano abbastanza idee nella mia testa per scrivere un libro».

Ha avuto spesso contatti con il mondo carcerario?

«Ho lavorato nelle carceri e in strutture di detenzione per minori per molti anni, facendo programmi di lettura e conversando con i detenuti. Leggono spesso i miei libri, che sono molto popolari nelle carceri, e poi ne discutiamo insieme. Sono lettori entusiasti. Le discussioni sono spesso vivaci e divertenti. Adoro andare in prigione e passare del tempo con i detenuti. E, onestamente, da loro ricevo molto materiale...».

Perché L'uomo che amava i libri è dedicato a Elmore Leonard e Charles Willeford?

«Elmore Leonard è uno dei miei romanzieri preferiti. Lo rileggo spesso per ricordarmi come è fatto, come si può scrivere certe cose e come le ha scritte lui. Willeford era anarchico, una voce singolare nella narrativa poliziesca e in ogni cosa che ha raccontato. Nel romanzo Pick Up, l'ultima riga ti costringe a tornare indietro e a rileggere il romanzo dall'inizio. Nel mio romanzo gli rendo omaggio nelle ultime righe. Senza anticiparvi nulla, come in Pick Up le etnie dei personaggi non vengono mai menzionate. Ho pensato che fosse tempo di provare una cosa del genere nella finzione. Ed è stato per me un buon inizio».

Che tipo è il detenuto Michael Hudson, il protagonista della sua storia?

«È un uomo che ha commesso un crimine quando ancora non era maturo, come accade a molti giovani. È cambiato e vuole cambiare ulteriormente. Si innamora della lettura mentre è in carcere e quando viene rilasciato tutto ciò che vuole è un lavoro e una tessera della biblioteca. Ma le forze esterne e il suo senso dell'onore lo riportano sul lato oscuro della strada».

La lettura per lui è davvero rivoluzionaria?

«Michael è mai stato fuori città. In particolare, non è mai stato fuori dal quartiere e dal suo mondo chiuso in se stesso. Una volta che inizia a leggere, la vita gli apre nuovi orizzonti. Leggiamo tutti per scappare. E, grazie alla lettura, possiamo andare ovunque».

Come ha scelto i libri che nel romanzo fa leggere a Michael?

«Alcuni sono romanzi che ammiro, altri sono storie che hanno plasmato la visione del mondo di Michael Hudson e lo hanno influenzato ad agire in modo positivo».

Lei crede nella riabilitazione penale?

«Credo fermamente nella capacità di crescere e cambiare. Nella mia prima infanzia ho avuto qualche problema, ma ciò mi ha aiutato a crescere. La scienza ci dice che un diciannovenne è una persona molto diversa da un trentenne. Un giovane agisce mosso dall'adrenalina e dagli impulsi. Ma quella stessa persona, qualche anno dopo mostra pensieri governati dalla coscienza e dal ragionamento. Le persone cambiano. Lei sa che le persone condannate per omicidio hanno la percentuale più bassa di recidiva? Proprio questo dovrebbe dire qualcosa sulla riabilitazione».

Come sceglie i casi criminali che racconta?

«Faccio delle ricerche, parlo con le forze dell'ordine e con le persone che abitano negli inferi. Cerco di rimanere in contatto con la strada».

Quanto è cambiata la scena noir americana negli ultimi anni?

«Adoro il noir classico, ma non credo possa essere replicato. Era legato al suo tempo. In gran parte era basato sul ritorno di un veterano della Seconda guerra mondiale in una città oscura e claustrofobica che lui non riusciva più a capire. Quei libri parlavano di disturbi da stress post traumatico prima ancora che ci fosse un termine specifico che li definisse. Un buon noir deve avere a che fare con i traumi psicologici, non deve descrivere il fumo di sigaretta e le ombre nelle stanze».

Sul suo sito c'è una sezione di recensioni dedicata ai classici del poliziesco italiano diretti da Fernando Di Leo ed Enzo Castellari...

«Ora è molto più facile trovare questi film grazie allo streaming.

Sono un fan dei film polizieschi italiani degli anni '70».

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