L'imperatrice e il filosofo. Così fallì il sogno illuminato

Il saggio di Robert Zaretsky racconta l'incontro scontro tra la pragmatica Caterina II e il sognatore Diderot

L'imperatrice e il filosofo. Così fallì il sogno illuminato

Lui geniale ed enciclopedico. Convinto della natura benigna dell'uomo, capace di affascinare chiunque con la sua parlantina e potenza oratoria. Eppure propenso al dramma e all'ipocondria. Convinto della necessità del predominio della legge e del popolo, ma attratto dal potere dei sovrani e dall'idea di sedurli alle sue idee. Lei coltissima e sagace, attenta a tutti gli spunti delle nuove idee illuministiche. Capace di prendere il controllo di un Paese immenso e di contribuire a modernizzarlo, comprendendo la necessità di eliminare quelle vestigia medievali che ne frenavano lo sviluppo. Eppure non disposta a privarsi di parte del potere e disposta ad ascoltare le critiche solo sino ad un certo punto: meglio gli elogi sperticati di Voltaire.

Stiamo parlando del filosofo illuminista Denis Diderot (1713-1784) e dell'Imperatrice Caterina II (1729-1796). Dopo un lunghissimo rapporto epistolare l'illuminista francese e la sovrana si incontrarono, nel 1773 a San Pietroburgo, dove Diderot, piuttosto malaticcio, giunse dopo un viaggio estenuante. Il suo arrivo avrebbe dovuto trasformarsi in un trionfo di modernità, nella consacrazione intellettuale di una sovrana capace di portare il regno degli Zar nel futuro, completando la grande opera di Pietro il Grande (1672-1725). Ma la liaison (tutta intellettuale sia chiaro) tra i due l'anno seguente era già interrotta e uno stanchissimo Diderot tornava in carrozza verso l'Europa. A guastare questa corrispondenza di illuministici sensi ci si era messa una cafonissima terza incomoda: la Russia.

Questa vicenda poco studiata è in realtà un'ottima cartina di tornasole delle contraddizioni della filosofia dei Lumi in particolare e, più in generale, di come si impantanino, nella realtà, la maggior parte dei sogni di riforma sempre così facili da realizzare nell'empireo della teoria. Ora su quell'incontro-scontro ha focalizzato l'attenzione uno dei maggiori specialisti di storia del Settecento, Robert Zaretsky dell'università d Houston. Nel suo Caterina e Diderot. L'imperatrice, il filosofo e il destino dell'Illuminismo (Hoepli, pagg. 230, euro 22,90) traccia il percorso di due vite parallele, giocate sul sottile crinale che separa la cultura e la politica.

Nel mondo degli illuministi di Francia sempre desiderosi di indicare un modello per il cambiamento Caterina si era trasformata nel monarca, lontano ma non troppo, da indicare al pubblico per biasimare i Borbone di Francia. Voltaire era diventato persino sperticato nell'elogio: è la stessa sovrana a scrivergli che non ha piacere ad essere paragonata a Giunone e nemmeno a Minerva. Caterina, data in sposa a 16 anni al futuro Pietro III di Russia, aveva con pazienza e fatica trovato il modo di inserirsi in una corte che all'inizio non l'amava. E mentre tollerava le stramberie di un marito insicuro e inadeguato, studiava, giorno e notte, i filosofi illuministi per prepararsi al suo ruolo. Nel 1762 con audacia e coraggio detronizzò il coniuge che finì strangolato (non sapremo mai se per sua volontà).

Iniziò una stagione di riforme guidate dall'alto. La corrispondenza con i maggiori intellettuali di Francia. Tra cui Diderot di cui Caterina acquistò anche la biblioteca. Poi in quel fatidico 1773 l'incontro. Diderot nell'inverno di San Pietroburgo congela. La città non gli sembra più una nuova piccola Atene. In lunghissimi colloqui, di cui Caterina è sempre meno estasiata, lui parla sempre e poco ascolta. È convintissimo che la sovrana debba passare subito alla monarchia costituzionale: «Se leggendo quello quanto ho appena scritto e ascoltando la sua coscienza, il cuore le sussulta di gioia, ella non vuole più schiavi, se frem, se il sangue le gela nelle vene, se impallidisce, si è creduta migliore di quello che era». Caterina non tremò, liquidò la faccenda con un «queste non sono altro che ciance». La zarina stava affrontando la feroce insurrezione polacca capeggiata da Pugacev, doveva gestire una corte piena di intrighi e sapeva che tutte le riforme erano in bilico. E Caterina glielo spiegò con chiarezza: «I vostri alti princìpi, che comprendo benissimo, sono buoni per i libri e pessimi per la pratica. Voi lavorate sulla carta che accetta ogni cosa... Ma io una povera imperatrice, lavoro sulla pelle umana, che è molto sensibile e irritabile».

Questa risposta segnò la loro separazione. Caterina aveva scelto la linea di Montesquieu nello Spirito delle leggi che vedeva per popoli diversi la necessità di istituzioni diverse. Proprio l'opposto dell'universalismo ottimista di Diderot. Il dibattito è ancora oggi aperto. Caterina da parte sua continuò comunque ad aiutare il filosofo per tutta la di lui vita. Non portava troppo rancore. Ma vedendo la Rivoluzione Francese chiosò che gli scritti di molti suoi amici filosofi avevano aperto la strada «a calamità senza fine e innumerevoli individui abbietti».

Diderot non fece in tempo a dire la sua, morì con largo anticipo sul trionfo della ghigliottina, ma c'è da dubitare che gli sarebbe piaciuto, forse sarebbe stato di nuovo, per una volta, d'accordo con la sua «tirannica» eterna protettrice.

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