L'intervista Giulia Mazzoni

Non ha una storia «forte» alle spalle per incuriosire la gente, non è neppure una ragazza prodigio, è semplicemente una pianista, una brava pianista che si fa largo con le sue sonorità che legano accademia e ricerca. Suona musica contemporanea Giulia Mazzoni, come dimostra il suo album La stanza dei bottoni, raccolta di quadretti onirici con cui si presenta per la prima volta al pubblico e che sta facendo parlare la critica (il singolo Piccola luce in un mese ha raccolto migliaia di visualizzazioni su Youtube). Qualcuno l'ha già definita la risposta femminile a Giovanni Allevi, ma lei si smarca da qualunque etichetta e vanta la sua libertà creativa. Ora sta affrontando i suoi primi concerti (il 16 ottobre sarà al Blue Note di Milano) per testare se, come dice il suo maestro di composizione del Conservatorio di Milano Mario Garuti, il suo stile ricorda davvero «il primo Satie».
Un paragone ingombrante quello con Satie.
«Impegnativo più che altro. L'impressionismo e il romanticismo sono le correnti di musica classica più vicine a me, e i miei autori preferiti sono Chopin e Debussy, ma scrivendo cerco di essere personale, di essere me stessa».
Come nasce artisticamente Giulia Mazzoni?
«Ho scoperto la musica per caso. Quando ero in quinta elementare ho sentito il suono di un pianorte e sono andata a spiare. Da allora ho cominciato a giocare col pianoforte come se fosse il Lego, per questo ho un approccio molto libero allo strumento, almeno finchè non ho frequentato la scuola di musica Verdi di Prato e il Conservatorio di Milano. Quindi ho unito i due mondi. Ho una formazione accademica ma non ho limiti di ascolto. Nel mio suono c'è la tradizione ma anche il pop e il rock. Non mi pongo limiti, potrei scrivere un ragtime se volessi, ma con la massima onestà intellettuale, sapendo che è un divertissement e che mi piace contaminare».
Nell'album si sente maggiormente la formazione accademica.
«Vengo da quel mondo, ma ho una formazione classica che guarda al presente. Amo molto il minimalismo e pianisti come Glass, Nyman, Einaudi, Yann Tiersen. Non sono arroccata su schemi rigidi ma continua a cambiare rotta».
Qualcuno la definisce la versione femminile di Allevi.
«Mi piacciono i suoi dischi come No Concept e Joy ma Allevi non è mai stato un mio punto di riferimento. Ci accomuna soltanto l'uso del pianoforte; lui si espande anche verso il mondo del jazz e non trovo tra noi punti in comune musicali. Lui è più vicino a Keith Jarrett che al minimalismo. Einaudi è più vicino alle mie corde, è più onirico e io vivo un po' su una nuvola».
Cioè?
«I miei genitori dicono che vivo fuori dal mondo perché sono poco pratica».
Eppure i suoi brani, seppur strumentali, raccontano tutti una storia.
«Ad esempio Apri gli occhi racconta di come, da adulti, perdiamo il gusto di emozionarci per le piccole cose; Piccola luce racconta la storia di una prostituta. La stanza dei bottoni si rifà alla mia infanzia; quando avevo due anni giocavo coi bottoni colorati contenuti in una cesta, oggi i tasti del piano sono i miei bottoni. Al pianoforte non posso mentire perché lui guarda dentro di me, comporre è come una seduta di psicanalisi. Un modo di comunicare agli altri il mondo visto da me».
Come pensa di arrivare al grande successo?
«Passo per passo, coi concerti, promuovendo il disco. E poi sto scrivendo nuova musica per un secondo album».
E la tv?
«I talent sono un buon veicolo per farsi conoscere ma sono adatti per il mondo del pop, non per me».
Non ci ha ancora detto quali sono i suoi pianisti preferiti.


«Bach prima di tutto e Ramin Bahrami che è straordinario e ha avuto una vita durissima. Poi Roberto Cacciapaglia che è un maestro nell'improvvisare col basso continuo alla maniera della musica barocca e Keith Jarrett per l'improvvisazione».

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