L'Italia dell'orrore raccontata a cannes

L'Italia dell'orrore raccontata a cannes

Un Gomorra senza possibilità di redenzione, un medioevo moderno dove la materialità ha ucciso ogni spiritualità, la tradizione piccolo e medioborghese sconfitta e immiserita di fronte ai nuovi ricchi, trasgressivi, amorali e, soprattutto, euforici perché è il loro momento. L'Italia cinematografica presente a Cannes offre del Paese un'immagine che oscilla fra l'orrore, l'utopia reazionaria fallita, l'esibizionismo compiaciuto degli happy few senza doveri, ma con tutti i diritti.

Non è un giudizio critico, perché Dogman, di Matteo Garrone e Lazzaro felice, di Alice Rohrwaker, i due film nella selezione ufficiale, e Euforia, di Valeria Golino, nel Certain Regard, hanno tutte le carte in regola per competere vittoriosamente con le altre pellicole in concorso. E' la chiave di lettura da loro offerta che qui interessa, l'immagine di una nazione alla deriva, senza più anticorpi, come in attesa della grande mutazione nichilista dove vittime e carnefici diventano interscambiabili, dove gli antichi legami si sciolgono di fronte a un individualismo edonistico che non si pone né problemi né un pensiero.

Una dichiarazione dello stesso Garrone illumina ancor meglio il punto: rispetto alla «violenza e la prepotenza che respiriamo in questa società cerchiamo di sopravvivere, di accontentare tutti». E' in fondo la variante assolutoria del «sono tutti ladri» che concerne la nostra classe politica, un'atonia e insieme un'incapacità di reagire nella quale le colpe sono sempre altrove, nelle istituzioni, nella burocrazia, nella finanza. Si dirà che ogni epoca storica ha i suoi critici: la Francia della Restaurazione raccontata da Balzac, per fare soltanto un esempio, non era un verminaio di corruzione e degrado? La risposta è sì, naturalmente, ma lì c'era comunque una grandezza nel crimine, una luciferina volontà di potenza, mentre qui lo sguardo si attarda sulla brutalità pura e semplice del male, non permette un'immedesimazione nemmeno al negativo.

Questa idea di un Paese senza dignità, senza energia, senza ansia di riscatto è un po' come un avvelenamento dei pozzi d'acqua di cui quello stesso Paese dovrebbe servirsi per alleviare la propria sete di decenza e di sviluppo e sorprende non solo e non tanto che i diretti interessati non se ne rendano conto, quanto che il giornalismo culturale che ne celebra insieme il genio e il successo non si interroghi sulla deriva che tutto ciò comporta. Se è davvero questo, se è soprattutto questo che l'Italia è diventata, ogni lamento sul tema risulta superfluo, ogni girotondo giustizialista e/o moralista per una nazione «normale» suona velleitario se non furbastro, proprio perché i primi a non crederci sono coloro che li apprestano sulla piazza.

Paese cattolico, per quanto ultra-secolarizzato, sempre cinematograficamente parlando l'Italia in forza a Cannes offre una sorta di cristologia dove c'è la via crucis e il martirio, ma non esiste più il cireneo che si offra per portare la croce, oppure la religione ha a che fare con l'arte, «il nostro petrolio», come si

dice ispirati quando non si ha nient'altro da dire. Applaudiamo con lo stesso fervore con cui pochi giorni prima si è reso omaggio a Ermanno Olmi. Dicono quelli e questo la stessa cosa? Raccontano davvero la stessa Italia?SS

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