Matteo Sacchi
nostro inviato a Gorizia
Quest'anno a Gorizia il festival «éStoria» ha avuto come tema cardine l'identità italiana, a partire dal titolo: «Italia mia». Per stabilire se davvero un'identità esiste bisogna studiarne le possibili radici. È quello che hanno cercato di fare, ieri mattina, nell'incontro L'eredità di Roma due studiosi di alto livello come il medievista Alessandro Barbero e Nicola Gardini, latinista e titolare della cattedra di letteratura italiana all'università di Oxford. Spiega Gardini a il Giornale: «Esiste sicuramente una identità italiana che ha la sua radice nella Roma antica. Per noi studiare il latino è come studiare la vita di un parente. Lo si studia anche all'estero ma non è la stessa cosa. Quando l'idea stessa di Italia è stata costruita, basti pensare a Machiavelli, il modello diretto è stato quello della repubblica romana, lo studio di Tito Livio. Ma anche prima, per Dante, il modello restava l'Impero. Quel mito ha preso varie forme. Ha innervato il Risorgimento sino alla prosopopea fascista». Dai miti si può però anche restare schiacciati, abbiamo perciò chiesto a Gardini se gli italiani sono rimasti un po' succubi della grandezza di Roma. «Succubi no. Però il rimpianto della grandezza perduta resta una delle nostre caratteristiche. Sì una forma di rimpianto c'è stata, anche in letteratura. Il senso del non può che andare peggio, forse, ci viene proprio dalla caduta dell'Impero. Però, per altri versi, è sempre stato anche un vanto il sentirsi romani».
Prudente Alessandro Barbero su quello che di Roma è rimasto, ci dice: «Resta quello che vogliamo che resti. Se parliamo di un modello giuridico e amministrativo... Come l'abbiamo avuto in Italia l'ha avuto anche l'attuale Egitto o la Turchia. E lì il modello romano è rimasto a lungo, anche dopo l'arrivo degli arabi. Ma secondo me resta poco sia qui che là, alla fine nell'Italia di oggi pesano molto più i retaggi della storia comunale che di quella romana. Il mito del ritorno a Roma può facilmente produrre cose grottesche, pensi al fascismo». Diversa è però la questione linguistica: «Il latino non è morto con Roma. Ma questo riguarda tutta Europa. Sino al Settecento le persone colte conoscevano quella lingua e scrivevano in quella lingua. Alla fine bisogna conoscerla anche per quello e non solo per l'antichità, serve anche a leggere Pascal (certi concetti matematici riusciva a scriverli solo in latino).
Oltre a questo contesto europeo, c'è una peculiarità italiana, siamo la nazione che ha ovviamente ha ricevuto l'eredità materiale più grande da Roma. E non è solo questione di monumenti, tutta la nostra urbanizzazione ha una traccia romana. Questo sì che ci influenza anche oggi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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