Intanto la notizia in sintesi: Ken Loach ha rifiutato di ricevere il Gran Premio Torino al Torino Film Festival. Motivo: contesta addirittura «il licenziamento di persone» e «l'esternalizzazione dei servizi svolti da lavoratori con salari più bassi». Potrebbe sembrare il ghiribizzo di un idealista di 76 anni, autore di film forti come My name is Joe oppure Il pane e le rose e firmatario di un appello per Turigliatto espulso da Rifondazione perché non aveva detto no alle missioni militari. Invece no.
Si tratta di una decisione meditata ed è il confronto/scontro tra un simbolo della sinistra e un festival protetto dalla sinistra. Non per nulla è diretto da Gianni Amelio, regista di chiara fama, e pure di chiara matrice politica, che qualche giorno fa ha spernacchiato il Festival di Roma dicendo che da lui «non ci sono solo opere prime di registi sconosciuti, magari mongoli». Sarà. Però da lui non ci sarà neanche Ken Loach, che ha detto ciao per non legittimare, con la propria presenza, chi ha penalizzato «i lavoratori più malpagati» che «hanno perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale». «Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportarmento debole e ipocrita». Il Festival di Torino, via comunicato stampa, è dispiaciuto che «sia stato male informato». Alla base ovviamente c'è il difficile rapporto tra il Torino Film Festival e servizi esterni come vigilanza e pulizia. Ma tutto è stato minimizzato (ad arte) fino ad annunciare che Loach non avrebbe potuto partecipare «per cause indipendenti dalla volontà» del Festival. In realtà Romolo Marcella, segretario provinciale dell'Unione sindacati di base, si era rivolto a Loach già ad agosto per denunciare «la grave situazione delle cooperative del gruppo Rear che ha vinto la gara di appalto per i servizi» nella sede del Museo del Cinema che amministra anche il Torino Film Festival. Pure la Rear smentisce: «Nessun taglio ai salari né licenziamenti». Vedremo.
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