L'orso Wojtek fece la campagna d'Italia da caporale

«Arruolato» nelle forze della Polonia libera era più di una mascotte. E il suo destino emblematico

David Duszynski

Quello del II Corpo d'Armata Polacco è l'esodo di un popolo. Dei 300mila che, all'indomani dell'Operazione Barbarossa, abbandonano la Siberia e raggiungono la Persia a piedi, molti sono anziani, vedove, 13mila gli orfani. Una di loro è Irena Bokiewicz. È lei che un giorno d'aprile del '42, tra le montagne di Hamadan, nell'attuale Iran, scorge qualcosa che la fa sorridere: dallo zaino di un ragazzo del posto spunta la testa di un cucciolo d'orso. Irena richiama l'attenzione dei soldati che le sono accanto. Il ragazzo gesticola, fa capire che la madre dell'orso è stata abbattuta dai cacciatori, per il cucciolo sarà questione di giorni. Irena ha trascorso quasi la metà della sua vita in un campo di prigionia. I soldati barattano il loro pranzo e al rientro il campo accoglie un orfano in più. «Si chiama Wojtek» sorride Irena. Wojtek in polacco vuol dire «guerriero sorridente». Finché può prendersene cura, Irena lo nutre con una vecchia bottiglia di vodka e un fazzoletto ripiegato come ciuccio per dargli il latte condensato delle razioni, diluito con un po' d'acqua, ma presto raggiunge la stazza di un orso siriano ed è impossibile trattenerlo in una baracca.

La bambina si rivolge al generale Spiechowitz, che non ci pensa su molto. Quell'orso, che in una sorta di Libro della Giungla al contrario, è cresciuto solo in mezzo agli umani, può aiutare a tenere alto il morale della truppa. Impara presto a restituire il saluto militare. Il caporale Prendysz è il suo personalissimo Balou. Insieme a lui e al resto della compagnia si concede anche qualche sbornia a base di birra, che diventa presto, forse per spirito cameratesco, la sua bevanda preferita. L'addestramento di quegli uomini dura più di un anno, intanto Wojtek li tempra affrontandoli in frequenti corpo a corpo e, secondo il caporale Prendysz, lasciandoli anche vincere, qualche volta. È il simbolo di quei giovani che attendono l'occasione di rivalsa a migliaia di chilometri da casa. La chiamata li raggiunge in Egitto. Destinazione Italia, per unirsi all'ottava Armata britannica.

Fervono i preparativi, ma le leggi inglesi vietano l'imbarco di animali. Basta un altro rapido consulto al vertice: nessuno resta indietro e Wojtek viene nominato caporale nella 22esima Compagnia. Il merito è sul campo. È nel pantano di Cassino che, emulando i suoi commilitoni, il caporale Wojtek dà prova del suo valore, aiutandoli nel trasporto delle munizioni senza lasciare cadere una sola cassa. La bandiera polacca sui ruderi della storica abbazia indica che la via per Roma è aperta.

Il II Corpo d'Armata, decimato, prosegue l'avanzata lungo l'Adriatico spinto da quel motto di Mickiewicz: «Per la nostra e la vostra libertà», che alla fine di quell'esodo epico, la Patria venduta a Stalin, suonerà beffardo a un intero popolo, trasfigurato negli occhi tristi di quel guerriero sorridente che ne ha condiviso il tragico destino per più di tre anni e 10mila chilometri, fino a Edimburgo, dove trascorrerà il resto dei suoi giorni in uno zoo.

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