Cronache

Lupin e i ciclisti in amore. La libertà secondo Leblanc

Nella novella del 1898 il creatore del «ladro gentiluomo» fa della bici un simbolo di rivolta

Lupin e i ciclisti in amore. La libertà secondo Leblanc

Il ragazzino che nei primi anni Settanta si sedeva composto davanti alla televisione per guardare i telefilm della serie Arsène Lupin, nel suo piccolo aveva già vissuto un'esperienza fondativa, anche se dai contorni nebulosi, come le favole raccontate dalla nonna: l'Odissea del 1968, con Bekim Fehmiu e Irene Papas. In particolare, l'episodio di Polifemo gli aveva aperto nuovi orizzonti, con quel connubio fra nascondimento fisico (la fuga aggrappati sotto la pancia delle capre) e linguistico («Il mio nome è Nessuno!»). In fondo, sempre di libertà si trattava, passando dall'eroe omerico al ladro gentiluomo, e dei modi più o meno ingegnosi e corretti per riaverla, come fa Ulisse, o per conservarla, come fa Arsène.

Ciò che della creatura di Maurice Leblanc (1864-1941) affascinava il ragazzino non erano tanto i sensazionali colpi messi a segno, quanto la metamorfica identità: di volta in volta, impersonato dall'elegantissimo Georges Descrières, poteva essere giardiniere o clochard, cameriere o persino vecchia contessa. Insomma, altri nascondimenti, fisici e linguistici, dopo quelli di Ulisse. Cresciuto, l'ex ragazzino ne lesse con rinnovato e anzi accresciuto piacere, e ora coglie nuovamente al balzo la palla offerta da queste Tre avventure di Arsène Lupin (Passigli, pagg. 128, euro 10, traduzione di Maurizio Ferrara), in cui il Nostro eroe è (diventa) Jean Daspry, un «compagno di circolo, conoscente mondano» del narratore, cioè di Leblanc medesimo, in Il sette di cuori; il «capitano a riposo» Janniot in Il segno dell'ombra; Jean Dubreuil, «ex ministro», in La sciarpa di seta rossa, dove si prende gioco del povero Ganimard: «Eh, ti ho lasciato di stucco, ispettore capo! Credevi che, nel campo delle deduzioni poliziesche, simili prodezze fossero vietate ai profani. Errore, signor mio! Lupin si destreggia con le deduzioni come un detective da romanzo. Le mie prove? Lampanti e infantili».

Perché Lupin non si accontenta di tutta la posta in palio, siano franchi, o gioielli, o altri generi di voluttuaria ricchezza, lui pretende per sé anche la parte del solutore del caso in oggetto. Negando così, da buon anarchico individualista, la stessa ragion d'essere delle istituzioni, cioè della polizia e della giustizia. Che il suo inventore, duellando a distanza con Arthur Conan Doyle, ne volesse fare uno Sherlock Holmes al contempo truffatore della legge e tutore del metodo deduttivo, era chiaro fin dall'inizio, cioè dal 1905, quando iniziò la saga di Lupin, terminata con la morte dell'autore, nel '41. Ma per comprendere meglio lo spirito ribelle di monsieur Maurice Leblanc occorre risalire indietro nel tempo, per la precisione al 1898.

Lo dimostra l'uscita a breve, per la prima volta in italiano, di Finalmente le ali! (Elliot, pagg. 96, euro 12,50, traduzione di Elisabetta Garieri). Qui da rubare non c'è proprio nulla, al contrario, si tratta soltanto di dare. E di mistero neppure l'ombra: tutto avviene alla luce del sole, oppure sotto la pioggia. Ma, come Lupin, i quattro protagonisti anelano alla libertà, nello specifico la libertà dei costumi e dell'amore. Guillaume e la moglie Madeleine, con Pascal e la moglie Régine, giovani, parigini e frequentatori della buona società, «presi per incantamento», come direbbe Dante, dalla moda della bicicletta, emancipatorio mezzo di trasporto ed evasione, intraprendono di comune accordo una vacanza a zonzo su due ruote fra Normandia e Bretagna. Boschi e ruscelli, locande e villaggi, vallate e tesori architettonici fanno da sfondo alle loro allegre pedalate. È come se avessero le ali ai piedi, e il cuore nuovamente colmo di gioia di vivere. Tuttavia, fatti pochi chilometri immersi nella natura, si accorgono che alla natura non possono resistere, e la natura comanda che il simile vada con il simile. Così il frivolo e superficiale Guillaume affianca la disinibita e scherzosa Régine, mentre il pensoso e tormentato Pascal comincia ad andare al passo con la sensuale e insoddisfatta Madeleine. Le carte della doppia coppia si mescolano quasi senza accorgersene, con la complicità dei velocipedi che idealmente conducono i ragazzi in un'Arcadia ritrovata, in una dimensione senza tempo. L'attenzione di Leblanc si concentra soprattutto su Pascal, il più sensibile a questa trasformazione-rigenerazione, e anche quello che la vive nel modo più problematico, zavorrato dal senso di colpa e dalla gelosia di cui pure si vergogna. Da un idillio condiviso si passa a due passioni esclusive. E tutto per merito (o colpa?) della bicicletta. «Il romanzo di Leblanc - scrive Stefano Pivato nella Prefazione - esce nello stesso anno in cui anche Émile Zola, in Paris, avrebbe elevato un elogio alle due ruote, destinate a diventare uno dei simboli della Belle Époque».

Voici des ailes! metterà le ali anche alla prosa di Leblanc, il quale di lì a poco batterà un nuovo, impervio sentiero che conduce alla libertà di pensiero e di azione.

Ma Lupin non si spostava in bici, e soprattutto diffidava dei rapporti (stabili) di coppia almeno quanto degli uomini della Sûreté.

Commenti