L'uscita del weekend: Gli infedeli

Sette registi per sette episodi. Il tradimento declinato alla francese

L'uscita del weekend: Gli infedeli

In uscita “GLI INFEDELI”, film composto da sette episodi sul tema dell’adulterio visto dal punto di vista maschile. Al centro della scena ci sono l’ormai osannato premio Oscar per “The Artist”, Jean Dujardin, e il suo amico, l’altrettanto fascinoso Gilles Lellouche, che si cimentano, ora in coppia ora singolarmente, in una gara all’ultimo trasformismo, un po’ come fecero Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi ne “I mostri” di Dino Risi, cui sembra rifarsi la pellicola. Il dogma base del film è che la fedeltà sia assolutamente non connaturata al maschio e che la dipendenza dall’adulterio non trovi cura.

I due attori protagonisti sono affiatati, camaleontici, egocentrici; danno corpo e voce a uomini di volta in volta logorroici, grevi, immaturi, meschini, fragili, alle prese con la più convenzionale e allo stesso tempo attuale delle situazioni: il tradimento coniugale. L’interazione tra i diversi archetipi della mascolinità è ciò su cui poggia una commedia dolce amara che vede Dujardin e Lellouche sceneggiatori oltre che ideatori del progetto, giudicato politicamente scorretto e sessista prima ancora che il film uscisse nelle sale a causa di locandine un po’ licenziose poi ritirate.

E’ questo un film atteso quanto deludente. Nonostante le buone performance in termini di recitazione, GLI INFEDELI è un assemblaggio caotico di sketch spesso ripetitivi, conditi di un paio di buone risate, qualche iperbole dei luoghi comuni sull’argomento “corna” e molta noia in agguato. Il punto debole è proprio l’eccessiva gamma di personaggi interpretati dai due mattatori.

Al momento delle riprese Dujardin era già in odore di Oscar; forse a questo si deve il passo falso. Da un lato sembra infatti essersi abbandonato al lusso della scelta d’ azzardo (e forse ad un piccolo delirio d’onnipotenza) nel momento in cui ha avuto il privilegio di poterlo fare; dall’altro lato, pare abbia ceduto al più atavico dei timori di un attore: quello di restare associato in eterno al ruolo che gli ha regalato la fama; ma può tale paura giustificare il lasciarsi prendere dalla smania di mostrare tutto il repertorio di caratterizzazioni possibili alla prima occasione utile?

E’ incredibile come nonostante il sovrannumero di registi impegnati nel progetto, il surplus di maschere indossate dai protagonisti, la quantità degli episodi narrati, si resti intrappolati in una ragnatela di inutili

rappresentazioni dell’ovvio centrifugato al grottesco. Ad ogni modo il film ha una sua piccola dignità in quanto fotografia attuale, più triste che spassosa, di un sesso che si crede furbo ed è invece infinitamente fragile.

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