Un maestro fragile, aggressivo, inquieto. Ecco Strehler, il gigante del "Piccolo"

Nel volume di Sara Chiappori 22 interviste ad attori, amici e amori del regista

Un maestro fragile, aggressivo, inquieto. Ecco Strehler, il gigante del "Piccolo"

Sara Chiappori non è solo una giornalista, ma anche una ricercatrice, nel senso che non si limita alla notizia, perché cerca di approfondirne le origini e le finalità, inoltre è una passionaria del teatro, incontentabile e, a volte, anche profetica. Nel volume da lei curato, Strehler. Il gigante del Piccolo (Mimesis), riunisce 22 interviste ad attori, registi e collaboratori di Giorgo Strehler (1921-1997) con prefazione di Maurizio Porro, conoscitore profondo del Maestro, e introduzione di Piero Colaprico.

Il libro offre non solo il ritratto artistico, ma anche umano del grande regista, il suo fascino, i suoi scandali, il suo modo di interpretare i testi, di utilizzare la luce, di costruire i personaggi, oltre che la maniera con cui collaborava con gli scenografi, ai quali chiedeva l'impossibile, specie durante la realizzazione degli spettacoli sul palcoscenico angusto di via Rovello che, misteriosamente, diventava immenso con le sue regie, quando, goldonianamente, faceva entrare il mondo nel teatro, quando la rappresentazione diventava più importante della scrittura, benché il Maestro dicesse di essere sempre fedele al testo.

Di una cosa era certo, che tutto dovesse nascere sul palcoscenico e che le prove, pur faticose, lente, ossessive, per la ricerca dei dettagli, potessero essere anche divertenti, perché spronavano la fantasia e l'immaginazione. Ezio Frigerio diceva che «aveva l'occhio assoluto e un senso musicale della luce». La storia dei suoi spettacoli si intrecciava con quella degli amori, quello inquieto con Ornella Vanoni, quello appassionato per la sua «regina», Andrea Jonasson che ne racconta le fragilità, le attese tormentate in casa, durante le sue «Prime», con le tapparelle abbassate, la profondità nel «leggere» i testi e gli errori che solo un genio poteva permettersi. Non mancano gli amori professionali, quelli per i suoi attori: Giulia Lazzarini, la sua pupilla, o il fedelissimo Giancarlo Dettori che, con Fanca Nuti, lo ascoltavano fino alle sei del mattino, o Ferruccio Soleri che Strehler aveva fatto conoscere in tutto il mondo, senza che gli spettatori avessero visto il suo volto. Poi ci sono i giovani come Ottavia Piccolo che ne ricorda l'aggressività e la potente seduzione, come Monica Guerritore che racconta la nascita del personaggio di Ania, come Gabriele Lavia che lo considerava Dio, mentre lui si sentiva Adamo. Non mancano le testimonianze di registi, come Andrée Ruth Shammah che ricorda di averlo diretto nell'Agamennone, primo testo della «Orestea», tradotta da Emanuele Severino, in quanto Franco Parenti, essendo caduto, durante le prove, dovette attendere un po' per recitarlo.

Poi ci sono le testimonianze dei collaboratori più vicini, come Carlo Fontana che lo considerava un mito, perché, per lui, il Maestro, era Paolo Grassi, come Giovanni Soresi, testimone diretto di tutti gli spettacoli. O Sergio Escobar che, artisticamente, lo considerava una macchina perfetta e, quindi, infernale.

Infine, come postfazione, si può leggere l'intervento di Claudio Longhi che, non avendolo conosciuto

professionalmente, ne scrive un breve saggio, non tanto per celebrarne la grandezza, quanto per interrogarsi su «quali altri geniali intuizioni sarebbe stata arricchita la sua carriera», se non fosse stata interrotta dalla morte.

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