L'ipocrisia della sinistra sull'antisemitismo

È sempre più facile indignarsi per le parole forti di un leader ebraico che denunciano l'antisemitismo, piuttosto che guardarsi allo specchio e ammettere la propria ipocrisia

L'ipocrisia della sinistra sull'antisemitismo
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Gentile Direttore Feltri,
vorrei chiederle cosa pensa delle dichiarazioni di Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano, che in un'intervista ha accusato la sinistra italiana di essere intrisa di antisemitismo, arrivando a dire che, se al governo ci fossero Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni, gli ebrei rischierebbero addirittura di essere sparati per strada. La sinistra si è indignata, ha gridato allo scandalo e ha definito queste parole «vergognose». Io però, osservando i silenzi e le ambiguità dei progressisti ogni volta che emergono cori, slogan o atti contro gli ebrei, mi chiedo se Meghnagi non abbia detto, pur con parole dure, una scomoda verità. Lei come la vede?

Cordiali saluti,
Matteo Guidi

Caro Matteo,
la levata di scudi della sinistra contro Meghnagi non mi sorprende: è sempre più facile indignarsi per le parole forti di un leader ebraico che denunciano l'antisemitismo, piuttosto che guardarsi allo specchio e ammettere la propria ipocrisia.

I progressisti italiani hanno costruito una religione civile fatta di politically correct e di indignazioni a comando. Si strappano le vesti perché Meloni e La Russa siedono in platea accanto a Liliana Segre, come se quella vicinanza fosse un sacrilegio, salvo poi marciare in cortei in cui si urlano slogan che negano Israele, in cui l'odio verso gli ebrei si mischia all'odio verso l'Occidente. Quello non li disturba. Anzi, spesso lo giustificano con il solito disco rotto: «Bisogna capire il disagio», «è rabbia sociale», «non confondiamo antisionismo con antisemitismo». Risultato: si ammicca, si chiude un occhio, si lascia correre.

Eppure l'antisemitismo oggi non si manifesta soltanto con la svastica disegnata sul muro o con il folle negazionismo. Si annida anche nelle omissioni, nel silenzio, nel «non ho sentito, non ho visto, non so». Quando un politico non condanna apertamente certi cori, quando tace davanti a un crimine d'odio contro gli ebrei, non è neutrale: è complice. E la complicità, in questi casi, vale quasi quanto l'atto.

Meghnagi ha detto cose dure, certo. Ma chi si scandalizza dovrebbe chiedersi: in che mondo viviamo? In tutta Europa gli episodi di antisemitismo crescono a ritmo esponenziale, dagli insulti nelle università ai pestaggi in strada. In Italia le comunità ebraiche sono costrette a vivere con la scorta. E intanto la sinistra, quella che predica inclusione e tolleranza, non trova mai il coraggio di pronunciare una parola chiara contro chi fomenta livore contro Israele e, di riflesso, contro gli ebrei.

Il problema non è se Meghnagi abbia usato un'immagine brutale: il problema è che l'antisemitismo serpeggia davvero, e la sinistra, invece di affrontarlo, preferisce puntare il dito contro chi lo denuncia. È un copione logoro: colpevolizzare chi parla, per non doversi assumere la responsabilità di ciò che non si fa.

E allora, sì: le parole di Meghnagi fanno male, sono urticanti. Ma guai a sostenere che siano infondate.

Perché chi non prende posizione netta contro l'antisemitismo, chi si rifugia nelle mezze frasi o nel silenzio, contribuisce a creare quel clima velenoso che egli ha denunciato.

In certe battaglie non c'è spazio per l'ambiguità. O si sta con gli ebrei, o si sta con chi li odia. La sinistra farebbe bene a ricordarselo, invece di recitare la solita sceneggiata indignata.

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