"Magari", un debutto alla regia decoroso per Ginevra Elkann

Un racconto d'infanzia messo in scena senza manierismi, volgarità e stucchevoli ricatti sentimentali. Credibile e allo stesso tempo avvolto in una leggerezza incantata.

"Magari", un debutto alla regia decoroso per Ginevra Elkann

"Magari", l'opera prima di Ginevra Elkann è disponibile sulla piattaforma RaiPlay.
Commedia dolceamara parzialmente autobiografica, è una produzione italo-francese e racconta il divorzio dal punto di vista dei figli.

La nipote dell'avvocato Agnelli, già produttrice e distributrice con la sua Good Films, debutta con un film interessante, imperfetto e sincero, cui a fare difetto è un po' il ritmo.
Protagonisti sono Alma, Seb e Jean (gli esordienti Oro De Commarque, Milo Roussel e Ettore Giustiniani), tre fratelli che vivono a Parigi con la madre, fresca di conversione alla religione greco-ortodossa e incinta del nuovo uomo. Dopo un malore in chiesa durante una funzione, la donna decide di mettersi a riposo e spedisce i pargoli in Italia, dall'ex marito (Riccardo Scamarcio), squattrinato donnaiolo col pallino di girare un film. Con lui i bambini dovranno trascorre una breve vacanza mantenendo il segreto su di un imminente trasferimento in Canada. Anziché a Courmayer finiranno a Sabaudia, con nuova fiamma paterna al seguito (Alba Rohrwacher).
Scritto con Chiara Barzini, "Magari" adotta il punto di vista della bambina, Alma, ed è questo a renderne la visione piacevole: l'innocenza della piccola emerge in maniera divertente sia come voce fuori campo sia nelle immagini di fantasia sovrapposte ogni tanto a quelle reali. Il racconto è quindi filtrato dall'ingenuità, dal romanticismo e dalla frustrazione per le aspettative deluse della novenne. La sua è una fanciullezza preda dell'ossessione di rivedere insieme i genitori che si sono lasciati quando lei aveva solo un anno. A questo scopo fa fioretti ai santi e giustifica qualsiasi azione dei grandi come in realtà conforme, in qualche modo, al suo sogno ad occhi aperti. Crede che ogni cosa si possa aggiustare e in quel suo ricorrente "magari" c'è tutta la speranza piena di magia che solo chi è ancora intonso dal disincanto può avere negli occhi.
I tre fratelli incarnano stadi diversi della crescita, proprio in rapporto al concetto espresso dal titolo: è come se Alma venerasse una bolla di sapone, Seb accettasse che è scoppiata e, infine, Jean, fosse oramai indifferente all'accaduto.
Di famiglie complicate, al cinema, se ne sono viste a bizzeffe e che la primissima educazione sentimentale ricevuta nell'infanzia sia all'origine di tanti avvenire disturbati è riflessione abusata. "Magari" non nasconde di essere un'opera derivativa, mai davvero originale, eppure ha una sua grazia, talvolta curiosamente pasticciata come il trucco da adulta sulla faccia di una bambina. Il tono è disomogeneo ma non appare un difetto: allude a come sia la vita a esserlo.
Pescando tra ricordi reali e finzione, Ginevra Elkann restituisce la complessità di un mosaico degli affetti in cui giovanissimi dalla spensieratezza responsabile devono vedersela con adulti la cui caratteristica è invece una stravaganza "dissociata" (ora declinata nel bigottismo, ora nel suo opposto). I genitori sono inaffidabili, assenti ed egoriferiti. I figli, un intralcio ai grandi.
Buona la tenuta narrativa e passabili le performance attoriali, mentre sullo sfondo scorrono i riferimenti agli Anni 80, tra canzoni d'epoca e passaggi tv di "Vacanze di Natale" e del telefilm "L'uomo da sei milioni di dollari".
Gustosi certi particolari mai gridati, come il cammeo paterno nell'incipit e il fatto che i cani dell'ex coppia si chiamino Dalida e Tenco.

Autoironico, o almeno in parte forse autoreferenziale, il fatto che le aspirazioni registiche del padre siano flagellate dal timore di essere banale.
Chi si aspetti le atmosfere di "Vestivamo alla marinara" (romanzo autobiografico di Susanna Agnelli sull'infanzia sua e dei fratelli Gianni, Umberto e Giorgio), magari lasci perdere.

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