La «Medea» trasgressiva di Branciaroli

Il personaggio di Medea ha sempre attratto i teatranti anche quando il loro sesso li inibiva a cimentarsi con la maga della Colchide. Fatta eccezione di Carmelo Bene, i cui progetti alla vigilia di andare in porto si erano orientati dapprima su Medea e poi su Cleopatra, entrambe archetipi dell'immaginario al di là del sesso che incarnavano. Una tesi che a suo tempo incantò Luca Ronconi che per primo pensò di sfruttare un attore come interprete del terribile ruolo, tutt'uno col paesaggio di Corinto e al tempo stesso col paesaggio di Medea custode del famoso vello d'oro. Una tesi quest'ultima che si sposò perfettamente con l'arte e l'ispirazione di Franco Branciaroli che ora, in omaggio al suo maestro, la ripropone al pubblico, confortato dall'opzione stessa del ruolo, cifra di un'umanità ferina e lontana dal dettato della polis greca. Branciaroli per magnificare sempre di più il carattere della maga verso l'astrazione esplica tutti i suoi poteri, collocando Medea in un secondo palcoscenico che diventa il vero tessuto connettivo dello spettacolo. Solo infatti entrando e uscendo da un edificio che cita se stesso moltiplicandosi, e poi magnificandosi, un grande Branciaroli riesce a proporsi prima come personaggio e poi come mito.

Ben coadiuvato dalle efficaci presenze maschili di Alfonso Veneroso (Giasone) e di Antonio Zanoletti, Medea diventa l'emblema della trasgressione che eleva la tragedia ad assoluta componente del quotidiano. Per merito di Daniele Salvo, regista che ricalca con abilità lo spettacolo originario.

MEDEA - Brescia, teatro Sociale.

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