Paolo Giordano
nostro inviato a Torino
Basta vederlo, questo palco del nuovo tour, per accorgersi di quanto Marco Mengoni sia in crescita esponenziale. PalaAlpitour di Torino. Quasi dodicimila persone in platea e sugli spalti. Ventiquattro brani più sorpresa finale. E un tour da 15 date in Italia più qualche festival estivo e molte date autunnali anche in Europa. «È un concerto triathlon», ha detto lui emozionatissimo, quasi impietrito da tanta concentrazione, nel backstage prima di salire sul palco. Inizia con Ti ho voluto bene veramente, uscendo da quella sorta di velatura tecnologica che taglia in due il palco. E poi va avanti senza fermarsi un attimo, correndo a destra e sinistra, cambiando abiti, parlando al pubblico direttamente oppure attraverso registrazioni (tipo quella che precede Esseri umani: «Credo in una famiglia che ti accoglie, non ti giudica e si prende cura di te: questa è l'unica definizione che conosco»). E conferma di essere sempre Pronto a correre, come recita un suo titolo, macinando fatica e tormenti: «Il mio carattere mi rende sempre insoddisfatto, e credo che in futuro farò ancora di più, ma non parliamo di stadi, per quelli c'è ancora tempo».
In effetti, quando si presenta sul palco con abito nero e camicia bianca, ha l'armatura scenica di chi ha calcolato minuziosamente anche il più insignificante dettaglio: band quadrata e precisa con un batterista assai eclettico, presenza tecnologica importante ma non invasiva, scaletta calibratissima (quasi a chiudere un cerchio ideale, finisce con la sublime Guerriero che era il brano d'apertura della prima tranche del tour) e colpo di scena. In più, ci sono due coriste che danno una decisa impronta soul a tutto il concerto, ma soul vecchio stile quindi concreto, ambrato, sensuale (si nota nell'originalità della cover di Freedom). E mentre scorrono Non me ne accorgo, Nemmeno un grammo e Parole in circolo (cantata in coro da tutto il PalaAlpitour), la musica racconta la storia di un ragazzo di Ronciglione, un ex barista timidissimo e creativo, che al festival di Sanremo 2013 era arrivato al tipico e pericolosissimo bivio dell'artista piuttosto conosciuto ma in cerca di consacrazione: da una parte il trionfo. Ma dall'altra l'oblio. Da allora, ha vinto il Festival con L'essenziale, ha sfidato Justin Bieber agli Mtv Ema dell'anno scorso costruendosi un seguito di fan come raramente si incontra: fedele ed entusiasta.
Insomma, una favola come ogni tanto succede nel pop. E, come poche volte capita, meritata fino in fondo perché, vox populi, Marco Mengoni è sicuramente uno dei più talentuosi in circolazione. Parlandogli si fatica a fare l'identikit perfetto della sua creatività. È molto più semplice capirlo quando è sul palco, ossia nudo al cento per cento, quasi indifeso davanti al suo pubblico. Uno scambio continuo di feedback, qualcosa che va oltre il semplice legame fideistico tra artista e ascoltatori per arrivare fino alla costruzione di una sorta di community che ha un codice di comunicazione molto particolare. E molto intenso. Perciò figuratevi quando Marco Mengoni inzia a volare, sì, quando inizia letteralmente a volare sulle teste degli spettatori seguendo due megaschermi sospesi a mezz'aria fino a raggiungere un altro piccolo palco a metà platea: l'apoteosi (la più applaudita quella durante Pronto a correre). E se non sono nuove le apparizioni su di una poltrona issata in cima al palco o l'utilizzo della app grazie alla quale il pubblico illumina il palazzetto a tempo di musica (durante Dove si vola), è del tutto inedito l'omaggio a Prince, omaggio tra l'altro così inatteso che lo stesso Mengoni non ne aveva accennato neanche prima di iniziare lo show. Insomma, finita l'intensissima e quasi tribale Guerriero, accese le luci e quasi rassegnato il pubblico a uscire dal PalaAlpitour, Mengoni e la band sono riapparsi per una Kiss intensissima, venata di malinconia in omaggio a Prince «mio idolo di sempre» e, soprattutto, del tutto priva di quella retorica che spesso farcisce i tributi post mortem.
In poche parole, il concerto della maturità di un artista neppure ventottenne che oggi arriva in radio con un singolo scritto da Giuliano Sangiorgi (Solo due satelliti) e che si porta in dote una delle caratteristiche più preziose per un artista: l'imprevedibilità. Oltre al desiderio caparbio di non rinunciarci mai.
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