Dopo aver scritto quel successo mondiale che è stato I Goldbaum (2018, Neri Pozza), 50mila copie solo in Italia, l'inglese Natasha Solomons, classe 1980, ha sentito per la prima volta nella sua giovane vita che non poteva scrivere: «E uno scrittore senza scrittura non è uno scrittore», ci ha spiegato. Sicché un giorno si è ritrovata a fissare una foto della Monna Lisa di Leonardo esposta al Louvre e a pensare: «Mi sento proprio come te». Perduta, sola, sigillata dietro un vetro a prova di proiettile. Così è cominciata l'avventura: voler scrivere un'autobiografia romanzata in cui il narratore è proprio quella donna, l'effige di uno dei dipinti più famosi, ed enigmatici, di tutti i tempi. Così è nato Io, Monna Lisa, che Neri Pozza manda ora in libreria (pagg. 368, euro 18, traduzione di Laura Prandino) e che verrà presentato dall'autrice a Milano il 5 maggio al Leonardo3Museum. In un romanzo dallo spunto geniale e dalla scrittura contemporanea, non soltanto il dipinto si racconta, ma attraversa 500 anni di storia europea e di arte, senza trascurare il divertimento e le miserie di ritrovarsi in compagnia dei giganti della storia in momenti più che privati.
Immedesimazione totale con il personaggio, quindi, in questo romanzo davvero originale?
«Monna Lisa non è una bella donna, eppure milioni di persone l'adorano e l'ammirano, mentre lei se ne sta impotente, in silenzio, blindata. Molti dicono che è come se fosse in procinto di parlare e io mi sono chiesta: Che cosa accadrebbe se lo facesse davvero? È stata zitta per 500 anni. E se fosse triste come me e piena di rabbia?. Mi sono sentita determinata a restituire a Monna Lisa la sua voce».
Quanto tempo vi ha impiegato?
«Un anno per scrivere il libro e molti mesi per la ricerca preliminare: ho letto ogni biografia possibile su Leonardo da Vinci e saggi sulla sua pittura e sul Rinascimento, ho voluto capire la sua filosofia e le sue idee sulla pittura. C'è molto materiale, ma ciò che riguarda la Monna Lisa dopo la vita di Leonardo si fa sempre meno dettagliato e di fatto lei non è diventata una star fino a dopo il furto al Louvre compiuto da Vincenzo Peruggia nel 1911. Fino a quel momento, abbiamo qualche appunto di turisti, come quello che la vide a Fontainebleau nel 1625, ma non un resoconto anno per anno».
Pensa di aver capito chi è Monna Lisa?
«Sappiamo che Leonardo usò Lisa del Giocondo, moglie del ricco mercante di seta fiorentino Francesco del Giocondo, come modella. Certamente la dipinse nell'ottobre del 1503, ma continuò a lavorare al quadro fino alla propria morte e a quel punto aveva smesso di considerarlo soltanto un dipinto: era diventato un'espressione delle sue idee e una rivelazione su quanto un pittore può fare. E il quadro è di fatto una rappresentazione in gesso, pigmento rosso e piombo bianco di che cosa significa essere umani. La Monna Lisa di Leonardo è ogni donna, ma è anche la nostra relazione con la natura, che qui diventa un paesaggio interiore. Ed è anche il dipinto definitivo e finale di Leonardo, quello che lui amò di più. E chi lo guarda sente tutto questo».
Ricreare il passato, tra dialoghi e aneddoti, vuol dire anche ricrearne alti e bassi.
«Nel romanzo ho cercato di ricostruire la relazione tra Monna Lisa e il suo Leonardo, un amore. L'arte è la parte immorale di noi stessi e qui Leonardo ha cercato di creare il miracolo: un quadro vivente che è lui stesso ma che va anche oltre sé stesso, che rivela la sua fragilità di uomo. Ho anche usato lettere e scritti, come per gli insulti a Botticelli, di cui non era certo un fan, o la gelosia per Michelangelo. Penso che umanizzare il genio aiuti a comprendere che può essere anche divertente e brutale».
Dobbiamo attenderci anche qualche rivelazione, leggendo il romanzo?
«Sappiamo che Picasso fu arrestato per il furto della Gioconda, ma ciò di cui mi sono resa conto per la prima volta è la sua ossessione per Monna Lisa. Nei sui quadri di donne sedute c'è sempre: l'ha dipinta più e più volte, per tutta la vita. Ha cominciato nel 1910 e non ha smesso fino agli anni Sessanta. E non è soltanto il soggetto, ma il sentimento di Monna Lisa che pervade il tutto. Quindi Picasso è nel romanzo e Monna Lisa non è per niente tenera con lui: aveva un acuto senso dell'umorismo, ma era anche un gran misogino».
Ma alla fine a lei questo quadro piace?
«Lo amo. È così famoso che abbiamo smesso di vederlo davvero: ormai è un meme, un cliché, riprodotta su tovaglioli e calzini. Ma il regalo della scrittura di questo romanzo è stata per me la riscoperta del miracolo.
Monna Lisa è una ribelle del Rinascimento. Le donne a quel tempo non erano dipinte con il sorriso, o lasciate da sole a fissare dritto in faccia l'osservatore. Io la vedo e non riesco a smettere di guardarla e di farmi ispirare da lei».
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