Da quando ho detto che dovevo intervistarla sento sempre la stessa parola. Indovini quale? «Libidineee?» Jerry Calà è a Milano per presentare il suo libro, Una vita da libidine appunto, che esce oggi per Sperling & Kupfer e festeggia, nell'ordine: 65 anni (il 28 giugno), 45 di carriera e venti di show alla Capannina («il 15 luglio faremo una grande festa»). «Beh, almeno il titolo è azzeccato...»
Senta, ma come nasce un tormentone?
«Domanda da un milione di euro. Diciamo che io sono stato fortunato perché, oltre a fare questo mestiere nel cinema, l'ho sempre fatto anche a teatro e nelle piazze: e lì puoi testare se le cose funzionano. Magari durante uno spettacolo ti scappava un libidine, o un capittooo, o un prrrova... sperimentavi».
Suo padre l'avrebbe voluta ingegnere.
«Aveva questa fissa. Io non ero un asso a scuola, però da lui avevo preso la confidenza con le lingue: mi aveva insegnato il tedesco, e amavo molto latino e greco. Così mi iscrissi a Lettere antiche a Bologna. Volevo fare il professore».
Una bella differenza...
«Neanche tanto. Come l'attore è uno che parla davanti a un pubblico. Anziché stare in cattedra, sto sul palco».
Suo padre era severo?
«Molto. Però era un genio, dipingeva queste copie di quadri famosi e li vendeva agli americani...»
Agli americani?
«Allora Verona era come Vicenza oggi, vivevamo con gli americani. Quando videro i suoi quadri, li volevano tutti».
Pagavano?
«Eccome, in dollari. Il suo cavallo di battaglia era l'Ultima cena. E poi una serie a china dei presidenti americani».
Poi è iniziata l'avventura coi Gatti: lei, Umberto Smaila, Nini Salerno, Franco Oppini.
«All'inizio a Roma abbiamo fatto la fame, fame vera: mangiavamo le Golia perché dicevano la facessero passare... Umberto, vabbeh, aveva le sue riserve, ma cercavamo di fare mangiare almeno Oppini, secco com'era. Umberto impegnò perfino la sua collezione di dischi dei Beatles».
E poi?
«E poi, come nelle favole, arrivò il mago Zurlì, cioè Cino Tortorella, che ci vide suonare in un ristorante e disse: Andiamo a Milano, vi porto al Derby. Era il '71. Quella sera sul palco c'erano: Cochi e Renato, Jannacci, Villaggio. Non so se mi spiego».
Chi era il suo idolo?
«Renato Pozzetto. Mi ispiravo a lui. Al cinema, una passione per Ugo Tognazzi».
Oggi chi le piace?
«Zalone tantissimo. Sono l'unico che abbia il coraggio di dirlo: i miei colleghi fanno finta che non ci sia».
Anche lei conosce un certo snobismo...
«Avevamo fatto I fichissimi e Goffredo Lombardo, grandissimo cineasta, a fine proiezione guardò me, i Vanzina e Abatantuono e ci disse: Ma che c... avete combinato?. Io pallido. E Vanzina mi dice: Il successo è assicurato, tranquillo».
Aveva ragione?
«Costò 450 milioni di lire, incassò nove miliardi e mezzo. I critici, sa, devono criticare. Pozzetto mi disse: Quando vedi che i critici parlano bene di te, preoccupati. Allora il comico era considerato come la serie B del cinema».
E Sapore di mare?
«Costò qualcosa in più, 800 milioni, e incassò 12 miliardi. Una fotografia degli anni Sessanta, visti con gli occhi degli Ottanta. Sul set Virna Lisi mi disse: Jerry, non so dare schiaffi finti. Io ero abbagliato. Le dissi: Signora, non c'è problema. Però Vanzina si voleva divertire: ci fece rifare la scena dodici volte».
C'era anche Marina Suma, che sembra le piacesse particolarmente...
«Era bellissima. Diciamo che ho avuto una scossa. Però stavo con Mara, era un momento delicato».
La Venier si arrabbiava?
«Moltissimo. Anche oggi. Quando le ho detto del libro si è arrabbiata: ha già detto che mi picchierà. Però lei per me allora rinunciò alla sua carriera: fece una scelta d'amore. Solo lei poteva farlo, e mi aiutò molto».
Invece Vacanze di Natale?
«Sono gli anni '80, come poi Gli yuppies. Anni di grande entusiasmo in cui, anche sbagliando, i ragazzi e la gente avevano voglia di fare. Non si piangevano addosso come molti oggi, che sembrano dire: che cosa ci date? Noi le cose ce le siamo andati a prendere».
Ha nostalgia?
«No. Io amo vivere nel presente, anche grazie a mio figlio che ha 13 anni, e penso al futuro».
Che cosa c'è nel futuro?
«Tante cose. Anche un progetto di un film, da regista e attore, al cinema, insieme a dei vecchi amici».
Chi sono i vecchi amici?
«Eh, tutti sanno chi sono i miei amici».
È ottimista?
«Di indole non proprio, ma sono allegro di carattere. Però sono un cancro, lunatico: quando ho le mie paturnie, se qualcuno per strada mi dice che devo fare ridere, allora mi arrabbio davvero...»
Qualcosa che non rifarebbe?
«No. Non mi vergogno di niente».
Dice ancora libidine?
«Se me lo chiedono che faccio, scontento il pubblico? Lo dico a cena coi miei amici, quando sono contento. Oppure adesso che ero a New York con mio figlio: una libidine continua, come Vacanze in America».
Appena finita l'intervista, Jerry Calà viene a sapere della morte
di Karina Huff, una delle protagoniste di Sapore di mare. È senza parole. E molto commosso. «Mi dispiace tanto, era una attrice bravissima e una donna piena di luce: entrava sul set e lo illuminava. Sono addoloratissimo».
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