Un minimalismo ai minimi termini

Il non inedito "Rockaway Beach" della Eisenstadt è la fine di un genere

Un minimalismo ai minimi termini

In pochi giorni, in Italia è diventato un caso letterario. I critici dei quotidiani a testate unificate (la Repubblica e il Corriere della Sera ne hanno scritto il 26 agosto) hanno incensato Rockaway Beach di Jill Eisenstadt, in uscita domani per la casa editrice Black Coffee. Una celebrazione di un romanzo che ha decretato, già al tempo della sua uscita americana nell'87, la morte del minimalismo post-Carver, dopo che scrittori come Jay McInerney, Bret Easton Ellis e Tama Janowitz ne avevano rinvigorito i fasti con una letteratura che risplendeva tra le ombre delle mille luci di New York. Rockaway Beach non esce per la prima volta in Italia, come si è letto: lo editò Tullio Pironti nell'88 col titolo I ragazzi di Rockaway ed è ancora in vendita sul sito a metà prezzo rispetto alla nuova edizione.

È un romanzo dimenticato, che non ha nulla di attuale: è stato riproposto lo scorso anno negli Usa per cercare di creare nuova attenzione sui membri già citati della Literary Brat Pack che in quegli anni «meno di zero» erano idolatrati. Se romanzi come Schiavi di New York della Janowitz (1986, ora nei Tascabili Bompiani), Le mille luci di New York di McInerney (1984, sempre Bompiani) e Meno di zero di Easton Ellis (1985, Einaudi) sono ancora oggi attuali, il tanto decantato Rockaway Beach è sorpassato, indicato forse per i nostalgici di quei tempi (ma è una nostalgia che si comprende negli States, poco in Italia), per reduci che alle avventure spericolate di Easton Ellis e McInerney hanno sostituito i romanzetti di Donna Tartt, abile imitatrice del maledettismo newyorchese ma in forma di chick lit. Jill Eisenstadt - che fu notata più per l'amicizia dai tempi dell'università con Easton Ellis, McInerney e Janowitz che per la scrittura - rappresenta proprio quella melassa narrativa poi sviluppata dalla Tartt de Il cardellino. È il convenzionalismo carveriano anni '80, sospeso tra minimalismo e «realismo sporco»: la descrizione di una realtà quotidiana fatta di cose minime, salario minimo, cultura minima, idee minime, ambizioni minime.

Il libro uscì in pieno boom minimalista, in quel 1987 segnato dalla raccolta Twenty Under Thirty curata da Debra Spark e che conteneva, accanto ad alcuni capostipiti (McInerney, Amy Hempel e Lorrie Moore), una sequenza di tentativi di imitazione. Jill Eisenstadt non era tra gli autori raccolti, ma poteva benissimo entrarci. Il suo romanzo racconta le vicende, piuttosto noiose, di quattro amici del Queens - Timmy, Peg, Alex e Chowderhead - fotografati in quell'istante intenso e fuggevole che separa la tarda adolescenza dalle prime ribellioni di una forzata maturità. Tutti e quattro passano l'estate prima del college a Rockaway Beach, la spiaggia che ha ispirato i Ramones per l'omonima canzone e dove Woody Allen ha girato alcune scene di Radio Days.

Rockaway Beach racconta scene di sesso, droga, occasionali riferimenti ai tempi che cambiano nel confronto con le generazioni del passato prossimo che abbiamo già letto mille volte, da Hubert Selby Jr a Jonathan Ames. Il libro è composto da 16 brevi capitoli (14 più un prologo e un epilogo), ciascuno leggibile come un racconto, un quadretto, una polaroid che racconta il «come eravamo» dei protagonisti. Tante le citazioni non dichiarate, da Mary Robison a Susan Minot alla stessa Janowitz, e, soprattutto, in quel narrare pseudo-minimalista la scrittrice americana ha eliminato la rabbia nichilista di Easton Ellis e l'esistenzialismo di McInerney, ottenendo una scialba rappresentazione neutra e inutile.

Un'operazione di archeologia narrativa per scoprire che di quegli anni '80 noi abbiamo vissuto solo le ombre. Come un'ombra di letteratura è Rockaway Beach, uno dei più grandi bluff della letteratura americana degli ultimi decenni.

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