Cultura e Spettacoli

"Il mio detective disturbato indaga e lotta a ritmo di jazz"

In «Motherless Brooklyn» che ha aperto la Festa del Cinema di Roma è attore e regista: «Ci ho messo i brani che amo»

"Il mio detective disturbato indaga e lotta a ritmo di jazz"

Cinzia Romani

da Roma

Vive con un anarchico: il suo cervello. E fa lo schizzato con la sindrome di Tourette, mentre indaga sull'assassinio del suo miglior amico, detective come lui. È Brooklyn Senzamadre, protagonista dell'elegante «noir» Motherless Brooklyn. I segreti di una città (dal 7 novembre con la Warner), che ieri ha inaugurato tra gli applausi a Roma la 14ª edizione della Festa del Cinema.

Anni '50, la New York dei locali jazz ad Harlem, le stanze del potere e i peggiori gangster che ruotano intorno a segreti inconfessabili. Ma, soprattutto, il bostoniano Edward Norton, attore non nuovo ai ruoli disturbanti (autistico in The Score, schizofrenico in Schegge di paura), qui al suo secondo film da regista. Una grande sfida, giocata con Bruce Willis (l'amico detective e mentore), Alec Baldwin (il cinico imprenditore che ricorda Trump) e Wilhelm Defoe (l'idealista perdente) e partendo dal romanzo Testadipazzo di Jonathan Lethem. Come piedipiatti che urla «Se», o altre frasi sconnesse, Norton, qui anche sceneggiatore, dà grande prova di sé.

Vent'anni dal suo film di culto Fight Club; nel 2000 ha esordito come regista con Tentazioni d'amore e stavolta regia e sceneggiatura le hanno portato via 10 anni: come mai tali tempi biblici?

«Sono un attore avido e ho esitato molto, prima di trovare una parte adatta a me: non è che ce ne siano tante, di belle. Nel romanzo cui mi sono ispirato, il personaggio di Brooklyn è memorabile. Mi è piaciuto ambientare il film a New York, dove vivo da 30 anni: è una città con tante cose meravigliose, ma anche disfunzionali».

Come ha lavorato al personaggio del detective disturbato?

«È la prima volta che recito un personaggio con la sindrome di Tourette. Quando fai la parte di un disturbato, devi studiare la sindrome e incontrare persone che ne soffrono. Questo tipo di malattia è diversa in ogni persona e questo m'ha dato una certa libertà. Ho preso elementi differenti da ogni persona».

Di recente ha polemizzato con Spielberg, affermando che la morte del cinema non è Netflix, bensì le sale obsolete...

«Tutto questo è un po' irritante: i giornalisti online hanno captato una conversazione privata, scherzosa e ironica, trasformandola in una polemica inesistente. Io adoro Spielberg: è stato il mio mentore ed è mio amico. Il mio era soltanto un commento: trovo straordinario il modo in cui Netflix ha gestito il film Roma. Era solo un'osservazione. Il panorama cambia. Si muove. Ma tutti abbiamo esperienza di sale in cui le luci, o il sonoro, non sono buoni».

Qui la musica svolge un ruolo importante, tra jazz e brani di Thom Yorke, leader dei Radiohead...

«Qui la musica contiene tutto ciò che amo: come in un frullatore, ho messo i brani che preferivo. Operazione rischiosa, fondere diversi stili e influenze, ma dovevo mischiare anche atmosfere letterarie e cinema».

Nella testa del protagonista il jazz esprime il caos: perciò ha scelto questa musica?

«Volevo raccontare gli anni Cinquanta a New York e quella era la musica dell'epoca. Mi piaceva l'idea che Charlie Parker o Miles Davies, col loro hard-bop, improvvisassero qualcosa che somiglia alla sindrome di Tourette, con i suoi pensieri compulsivi. La musica libera il protagonista, che cerca di controllare la sua malattia. E il suo disturbo si tramuta in piacere».

Nel personaggio del costruttore senza scrupoli, impersonato da Alec Baldwin, oppositore di Trump, alcuni vedono il Presidente Usa...

«Penso che nelle nostre democrazie liberali ci sia una parte senza tempo. Tutti noi abbiamo aderito all'idea che il popolo abbia potere: è il contratto sociale. Ma incombe sempre una minaccia, in senso contrario. Ci sono persone e forze che stoppano tale potere. Lo vediamo in Europa, negli Stati Uniti, in America Latina: dobbiamo rimanere sempre svegli. Sebbene sia un noir ambientato a New York, gli spettatori italiani coglieranno nel film l'assonanza con le loro vicissitudini recenti».

Greta Thunberg dice che la sua sindrome di Asperger le dà una marcia in più. Lei mostra la sindrome di Tourette come un dono per il protagonista?

«Nel film ci sono cose che danno vantaggi al mio personaggio. Ricorda numeri, date, luoghi con estrema precisione... Ma quel che conta è farne emergere l'umanità. Quando incontra arriva una ragazza che lo comprende, lui capisce che le difficoltà non sono una scusa per essere passivi. Lei lotta per l'uguaglianza e deve lottare anche lui.

Oggi non possiamo permetterci cinismo, o apatia».

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