Cosa puoi obiettare a Enrique Iglesias? Ha venduto oltre cento milioni di dischi, è figlio famoso di padre famoso, ha avuto due figli con una delle tenniste più belle di sempre e neppure se la tira. Pensate, a differenza di qualsiasi trapper anabolizzato da views magari farlocche, è educato, saluta e dice grazie come ogni bravo ragazzo. Forse per questo, ha iniziato la carriera con uno pseudonimo perché negli anni Novanta era troppo impegnativo chiamarsi Iglesias come Julio, quello di «pensami tanto tanto intensamente» e della valigia di un lungo viaggio. Insomma meglio un anonimo Enrique Martinez. Oggi, a 44 anni, dopo aver seminato successi planetari come Bailando, Duele el corazon oppure Sùbeme la radio, ha un pubblico trasversale e per niente snob che va ai concerti con due soli obiettivi: divertirsi e ballare e che male c'è. A furia di esibizioni, sta per arrivare al Forum di Milano (quasi) alla fine di un lunghissimo tour mondiale e sul palco porterà un campionario di pop latinoamericano fatto con stile, appiccicoso quanto basta e comunque arrangiato da signori professionisti. «È la mia vita», dice lui al telefono da Miami.
Ma come la sua vita? È diventato padre da poco.
«Sì, prima la mia vita era soltanto musica. Adesso mi realizzo attraverso le mie esibizioni dal vivo e quel contatto con il pubblico che si crea durante i concerti. Ma, da quasi due anni, si è aggiunta una componente fondamentale: sono diventato papà. Nicholas e Lucy sono nati nel dicembre del 2017 e da allora la mia vita ha decisamente molti riflessi diversi e più nutrienti».
La mamma è Anna Kurnikova, che a sedici anni arrivò alle semifinali di Wimbledon ed è stata una delle dive femminili del tennis.
«Anche se il mio lavoro mi porta in giro per il mondo, cerco di non stare lontano da casa per più di dieci giorni consecutivi. Piuttosto prendo un aereo, torno di corsa dalla mia famiglia e riprendo i concerti».
Per la mamma non deve essere stato facile accettarlo.
«Anna mi capisce perfettamente e questa comprensione reciproca è parte fondamentale del nostro rapporto».
Un equilibrio non facile da raggiungere.
«In effetti, quando si è abituati a essere solisti, si ragiona soltanto sulla base delle proprie singole necessità. Poi ti accorgi che non sei più tu soltanto. Oppure solo lei soltanto. Si è in due. E ci si accetta, calibrando gli equilibri».
Questa consapevolezza quanto aiuta nella composizione delle canzoni?
«In realtà ho sempre composto brani cercando di descrivere stati d'animo e di non essere in balìa di emozioni estemporanee. Se pubblico un brano, lo faccio perché credo mi rappresenti fino in fondo».
Ma se poi non è un successo?
«Beh mica ogni brano deve essere per forza un grande successo. Non si pubblicano soltanto canzoni che si pensa debbano andare al numero uno in classifica. Si pubblicano se ci rappresentano o rappresentano bene una situazione».
Il suo ultimo tour ha raccolto finora oltre un milione e mezzo di persone.
«Questa volta a Milano avrò una nuova scaletta e canterò brani che non cantavo prima».
Qui in Europa da almeno un paio d'anni siamo in piena fase reggaeton. L'hanno adottato anche i cantanti italiani.
«Il reggaeton è così popolare perché ti fa ballare. Anche io, se arrivo a casa soddisfatto, ascolto musica reggaeton. È una sonorità che consente a tutti, ma proprio tutti, di sentirsi parte di quelle parole e di quei ritmi».
Ma a lei piace davvero tutto il reggaeton che si sente in giro?
«È vero, se ne ascolta tantissimo. Ma a me piace soltanto quello che mi sembra buono. Non sono un integralista, so distinguere».
Quanto reggaeton ci sarà nel suo nuovo disco dopo tanti anni?
«Non posso ancora dirlo con certezza perché lo sto registrando e anche nelle prossime settimane, a parte i concerti, trascorrerò molto tempo in studio di registrazione».
Quando uscirà?
«Credo in primavera».
Intanto trascorrerà il tempo libero nella sua casa di Miami.
«E mio padre Julio abita poco distante, direi una ventina di minuti. È un brano vicino di casa, sa?».
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