Un mondo a-Part Ecco il "museo" di tutti senza linea o curatore

Il nuovo spazio espositivo per il contemporaneo ospita la ricca collezione di San Patrignano

Apre un altro museo d'arte contemporanea in Italia e qualcuno potrebbe gridare all'incoscienza, visti i tempi, oppure chiedersi se davvero ce ne fosse bisogno. Intanto è improprio chiamarlo museo, molto meglio uno spazio d'arte o una raccolta, ma a questo arriveremo dopo. E poi c'è l'indubbia vitalità romagnola e di una Rimini che cambia faccia, dal mare al centro, e attendendo il Museo Fellini offre nella piazza Cavour due antichi palazzi storici l'Arengo e il Podestà - per allestire la collezione della Fondazione San Patrignano.

Si chiama PART, quasi un acronimo di Palazzo dell'arte, inaugura giovedì prossimo, 24 settembre (fino a domenica ingresso gratuito a cittadini e turisti). All'interno saranno contenute le opere raccolte a partire dal 2017, quindi in tempi recenti, per volere di Letizia Moratti cofondatrice di «Sampa» e frutto di generose donazioni di collezionisti, galleristi, degli stessi artisti. Il modello è quello dell'endownment: per almeno cinque anni le opere non possono essere vendute ma valorizzate attraverso l'esposizione al pubblico e solo in seguito messe sul mercato per le reali esigenze economiche della Comunità, in particolare per il recupero dei tossicodipendenti.

Prima di trovare casa a Rimini quadri, sculture e foto hanno compiuto un breve tour italiano cominciato a Milano e il nucleo originale si è ingrandito. Nel frattempo l'architetto Luca Cipelletti dello Studio AR.CH.IT ha progettato il restauro e il riadeguamento di spazi certo non facili, duecenteschi e trecenteschi, il light designer Alberto Pasetti Bombardella ha ripensato integralmente all'illuminazione. Dai rendering e dalle immagini si intuisce un riuscito dialogo tra lo spazio antico e le opere super-contemporanee, visto che ormai è superata l'ideologia tutta minimalista del white cube.

Eclettismo la parola d'ordine. Nella collezione di San Patrignano non è rappresentata una linea, una tendenza, non c'è progressione storica e le opere sono tutte attuali. Noi siamo abituati a identificare il museo con il direttore o il curatore, il cui gusto è sacro e la sua «filosofia» indiscutibile. Al PART accade proprio il contrario: «Il catalogo è questo» ricorda Don Giovanni. Tranne giudicare la bontà dei regali (ormai ti propongono di tutto, meglio vigilare) nessun altro criterio.

L'elenco degli artisti presenti oggi in collezione è ben più che vario. Innanzitutto c'è tanta arte italiana: mai superfluo ricordare che i musei dovrebbero valorizzare il territorio, in barba all'internazionalismo che li ha resi poco appetibili al pubblico. E dunque accanto ai grandi di Arte Povera (Pistoletto, Calzolari), Transavanguardia (Chia, Cucchi, Paladino), Pop (Schifano), concettuale (Isgrò, Griffa) troviamo sia la generazione degli anni '90 (Beecroft, Airò, Vezzoli) sia tanta bella pittura che altrove escluderebbero (Montesano, Pignatelli, Velasco, Coda Zabetta, Busci, Cannavacciuolo). La rappresentativa straniera è comunque folta e di assoluto prestigio: i fratelli Chapman e la Djurberg, Damien Hirst e Yan Pei Ming, Schnabel e Condo, oltre a un'opera site specific la sola - realizzata da David Tremlett. L'elenco completo è molto più lungo e nutrito.

Solo al PART puoi trovare il classicismo di Igor Mitoraj accanto alla freddezza teorica di Alberto Garutti, mentre di solito l'uno esclude l'altro e così i musei non sono altro che dependances delle gallerie più in voga. Rimini invece propone uno spazio d'arte perfetto per l'era di Instagram dove il principale criterio è quello dei «like». Anche le opere contemporanee, nei cui confronti c'è bisogno di ricorrere a ragionamenti e speciose teorie affinché tutto funzioni, si devono sottoporre al rito del «Mi piace, non mi piace». I visitatori per una volta saranno liberi e senza condizionamenti potranno esprimere le loro preferenze senza che altri scelgano per loro. E nessuno si sentirà meno intelligente perché gli piace la pittura o al contrario meno sensibile perché si arrovella su questioni teoriche. Probabilmente saranno proprio i social a rivelare quale sia la vera arte del 2020, che cosa rispecchi meglio il gusto dei nostri tempi, separando una volta tanto l'offerta a uso e consumo dei soli addetti ai lavori rispetto alle passioni reali del pubblico.

Non

fosse stata sputtanata da certa politica, potremmo usare davvero l'espressione «democrazia partecipata» per il PART. In ogni caso è un nuovo modello, da seguire con attenzione. Il primo cuoricino se lo merita fin da subito.

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