Cultura e Spettacoli

La montagna disincantata di Arminio e Ferretti è un rifugio antimoderno

Il paesologo e il musicista raccontano le loro storie appenniniche. Fra solitudine e misticismo

Camillo Langone

«Non c'è speranza»: poteva essere l'affermazione di Giovanni Lindo Ferretti a pagina 71 il titolo di questo piccolo libro a quattro mani sul grande tema dell'estinzione appenninica. Che invece si intitola L'Italia profonda (GOG, pagg. 100, euro 9), in apparenza meno apocalittico eppure, a un orecchio attento, capace di estendere la sensazione dello sprofondare all'intera nazione, non soltanto alle sue montagne. Questi Dialoghi dagli Appennini (il sottotitolo) sono un requiem cantato da Ferretti e Franco Arminio quasi all'unisono e tale accordo non era per nulla scontato, considerando le molto diverse vocalità: uno è del Nord, l'altro del Sud, uno viene dal punk, l'altro dalla poesia, uno è cattolico, l'altro è di sinistra. Se non fosse che sopra i 600 metri sul livello del mare ogni illusione è franata e il pessimismo è diventato terreno comune.

«I luoghi stanno sparendo e dunque anche noi stiamo sparendo»: questo è Arminio ma somiglia al Ferretti di Noi non ci saremo. «Di funerali campano le comunità e i cimiteri le cementano. È che comincia a scarseggiare la merce»: questo è Ferretti ma somiglia all'Arminio di Cartoline dai morti. Non è strano che a un certo punto mi sia venuto in mente il titolo di un vecchissimo disco di De André, Tutti morimmo a stento. Insomma non c'è proprio niente da ridere e anche l'ungarettiana allegria di naufragi sembra un obiettivo irraggiungibile. Che la cupezza di queste pagine non sia una posa letteraria lo dimostra la demografia: dagli anni di nascita di Arminio e Ferretti (1960 e 1953) i rispettivi comuni hanno perso oltre la metà della popolazione, una strage, e abbastanza ovviamente l'età media di chi è rimasto è schizzata verso l'alto. Non c'è speranza, dicevamo, ossia non c'è lavoro, non ci sono bambini, non ci sono prospettive di alcun genere come segnalano i prezzi delle case. Nella Bisaccia di Arminio un appartamento di 123 metri quadri, tre camere da letto, due bagni, costa 30mila euri. Nella Ventasso di Ferretti, sebbene le quotazioni in parte ancora risentano del novecentesco fenomeno della seconda casa, una villa indipendente su due piani viene offerta a euri 54mila. Sembrerebbero buoni affari, per chi vive in città dove con cifre analoghe fai fatica a comprare un garage, ma non c'è la fila per riaprire quelle stanze, per rialzare quelle tapparelle. Tutto resta tristemente abbandonato e così, dice Arminio, «il richiamo della morte, che già fa parte del carattere delle montagne, è accentuato dalle porte chiuse».

I due autori sono pessimi agenti immobiliari, di sicuro L'Italia profonda non susciterà un'ondata di compravendite. Altri avrebbero giocato la carta della tranquillità, della natura, del silenzio, dell'assenza di traffico, dell'aria pulita. Non loro, refrattari a ogni edulcorazione. Del resto i cimiteri sono posti tranquillissimi dove ciò nonostante nessuno ha fretta di risiedere. Possibile che non ci sia proprio nulla di attraente nelle terre alte? Restarvi sembra un dovere, verso i propri morti o i pochi vivi residui, non certo un piacere. Al limite, come per Arminio, può diventare un vizio: «Mio figlio mi ha definito paparazzo della desolazione. Ed è proprio così. Sono un voyeur della desolazione». Per Ferretti la scelta si colora di antimodernità, il cui fascino è datato mentre le scomodità sono attualissime: «È antieconomico, diventa antisociale, persino un peccato di arroganza, che qualcuno voglia continuare a vivere in montagna».

Per alcuni la montagna significa misticismo. Ricordo Giovanni Paolo II che però si riferiva alle vette alpine, ai massicci maestosi, non certo ai modesti paesi appenninici. E infatti nel libro si accenna al tema senza troppa convinzione. Ovviamente Ferretti è dei due il più preparato: «Le città possono pensarsi senza Dio e anche contro Dio, per le montagne è più difficile, persino un pensiero ateo si colora, in montagna, di sfumature mistico/religiose». Salvo ammettere che Dio si può trovare ovunque, e ci mancherebbe. È una faccenda abbastanza soggettiva, dipende dalla sensibilità personale, per me ad esempio Dio prima che bellezza significa salvezza e dunque lo invoco con maggior fervore quando esco dalla stazione di Milano: la piazza davanti alla Centrale è molto più pericolosa della piazza davanti alla chiesa di un qualsiasi paese della montagna emiliana o irpina.

Ricapitolando: l'Italia profonda sta sprofondando nell'abbandono, nel silenzio mortale delle culle vuote, nella visione spettrale delle serrande abbassate.

Forse l'unico motivo per andare ad abitare in Appennino è il privilegio di avere per vicini di casa due artisti irriducibili e inimitabili come Franco Arminio e Giovanni Lindo Ferretti.

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