Da Morandi a "Caramelle", quando il pop è "scomodo"

Il brano di Carone e Dear Jack, scartato dal Festival, parla di pedofilia. La lunga lista di versi che turbano

Da Morandi a "Caramelle", quando il pop è "scomodo"

Dopotutto la strada del pop italiano è lastricata di versi scomodi. Di canzoni che, come si dice, «fanno pensare». Quasi mai sono politiche, quelle al limite creano indignazione o applausi, ma non turbano le coscienze, non mettono i brividi. Quelle che rimangono hanno contenuto sociale o di costume.

Nell'ultimo mezzo secolo tanti brani hanno emozionato il pubblico e messo in guardia gli editori. Qualche volta i testi sono stati cambiati o cancellati preventivamente, altre volte hanno scatenato polemiche, consensi, commozione. L'ultimo caso è il brano Caramelle, del quale si occuperà anche Massimo Giletti domenica 13 a Non è l'Arena su La7. Le parole scritte per i Dear Jack da Pierdavide Carone, uno degli autori più talentuosi della nuova generazione, affrontano il tema spaventoso e malefico della pedofilia. E lo fanno senza giri di parole, senza retorica vellutata o ridicoli sottintesi. La canzone è stata presentata senza successo al Festival ma è possibile che, dopo la grande eco suscitata in radio e sui social, possa essere comunque ascoltata durante una delle cinque serate. Vedremo.

In fondo proprio Sanremo è stato un crocevia decisivo per tanti brani scomodi. Ad esempio nel 1971 il brano Gesùbambino (tutto attaccato) diventò 4/3/1943. Lucio Dalla, l'avete capito. Il ritornello finale recitava: «E ancora adesso che bestemmio e bevo vino, per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino». Divenne: «E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino».

Anche Fabrizio De André (di cui oggi ricorre il ventennale della scomparsa), qualche anno prima nel 1967, nella memorabile Bocca di Rosa cambiò in corsa alcuni versi per risultare «accettabile». E così «spesso gli sbirri e i Carabinieri al proprio dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme» diventò «il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i Carabinieri, ma quella volta a prendere il treno l'accompagnarono malvolentieri».

Persino Gianni Morandi dovette modificare per le esibizioni televisive il testo di C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Era il 1966, c'era stata addirittura una interrogazione parlamentare per una possibile offesa agli Stati Uniti e quindi il verso «mi han detto vai nel Vietnam e spara ai Vietcong» in tv divenne «Mi ha detto vai nel tatatà e spara ai tatatà». Vecchia storia. Addirittura Renato Carosone per apparire in tv fu obbligato a cambiare i versi di Tu vuò fa l'americano (testo di Nisa, pseudonimo di Nicola Salerno, padre del grande Alberto). E «ma i soldi pe' Camel chi te li dà?» divenne «ma i soldi per' campà, chi te li dà?». Oggi sarebbe impensabile.

Però, per evitare questioni, anche Roberto Vecchioni (si dice) nel 1971 cambiò il testo di Luci a San Siro eliminando riferimenti a «coiti anali» per arrivare a un testo meno esplicito. Anche Mina, pensate, nella sua ultima apparizione tv a Mille e una luce del 1978 fu filtrata da psichedelici effetti multiscreen perché la sua interpretazione di Ancora ancora ancora era stata considerata troppo sensuale. Idem per Lucio Battisti obbligato dalla Rai a cambiare parte di Dio mio no. Ma anche in tempi recenti le parole di canzoni pop sono diventate autentici casi di cronaca. Ad esempio la splendida Il pettirosso (da Storie del 2009) racconta di una bambina di 11 anni violentata da un uomo più anziano che poi muore e lei ne prova pietà. Non un testo assolutorio né di «perdono», per carità, e difatti Gino Paoli ne parlò così: «L'umanità, parola importante da capire, la scopre solo il bambino, che non ha sovrastrutture». Però la Commissione Bicamerale per l'infanzia decise lo stesso di aprire un'indagine conoscitiva che poi finì nel nulla. Una capacità simile di mettere in musica le piaghe della società si ritrova in Carmen Consoli che con Mio zio ha vinto il premio Amnesty International e con La signora del quinto piano di Carmen Consoli (da L'abitudine di tornare del 2015) ha fatto di nuovo centro: un marito stalker aspetta l'ex moglie con un martello, le forze dell'ordine confermano che «non c'è alcuna ragione di avere paura» ma l'omicidio annunciato poi si compie. Sono scene di cronaca pesante che diventano musica leggera senza perdere l'impatto e la capacità di sensibilizzare.

Così è anche il testo di Caramelle, il primo scritto da Carone con i Dear Jack.

Sui social è stato impetuoso l'impatto di versi come «Dammi la mano bambino e vieni nel bosco, no che non sono un estraneo, io ti conosco, vengo dal tuo stesso posto» oppure «Ti prego, fa in fretta ciò che devi fare, ti prego, fallo in fretta senza farmi male, ti giuro, non avrò niente da raccontare, però fa in fretta così torno a respirare». È la forza dei brani che intercettano le nostre paure e le nostre angosce per trasformarle in un racconto che sa andare ben oltre il pop.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica