Una scrittura fluida ed emozionale. La capacità di creare romanzi di genere, rosa, tradotti in 37 lingue e la cui architettura era in grado di incatenare milioni di lettrici per centinaia di pagine alla volta. Questa era la caratteristica principale di Lucinda Riley, scrittrice nordirlandese, classe 1966, originaria di Lisburn e morta ieri, dopo una lotta durata quattro anni contro il tumore. I suoi romanzi e in particolar modo la saga intitolata Le sette sorelle (ma ci sono anche molti altri titoli) hanno venduto nel mondo più di trenta milioni di copie, segno innegabile di un talento veramente prolifico che, forse, faceva storcere il naso ai critici letterari, ma di sicuro aveva una presa immediata e duratura sul grande pubblico.
E dire che la carriera letteraria della Riley (cognome da sposata, quello da nubile era Edmonds) era nata quasi per caso. Lunghi capelli biondi, minuta e sguardo penetrante, Lucinda nella sua prima vita aveva scelto la carriera di attrice, del resto la sua famiglia aveva una lunga tradizione di recitazione teatrale. Ha iniziato a calcare le scene da ragazzina interpretando anche molti sceneggiati televisivi, come The Story of the Treasure Seekers prodotto dalla Bbc. Poi, a 24 anni, la sua carriera ha avuto un momentaneo stop a causa della mononucleosi. Bloccata a letto si è messa a scrivere... E non ha più smesso. Una lunga cavalcata, che negli ultimi anni era stata funestata dalla malattia ma non si era interrotta. La Riley ha lottato per portare a termine l'ultimo capitolo delle Sette sorelle che in Italia è stato appena pubblicato per i tipi di Giunti (come anche i romanzi precedenti del ciclo). La sorella perduta è tutt'ora nella top ten dei libri più venduti e, solo qualche settimana fa, aveva raggiunto la posizione numero uno in classifica: in meno di sette giorni, 40mila copie. Questo perché la Riley godeva di un pubblico davvero fedele e appassionato. A cui Lucinda ha lasciato un ultimo messaggio trasmesso attraverso la sua numerosa famiglia (quattro figli più tre acquisiti dal secondo marito): «Nel dolore e nella gioia del viaggio, ho imparato la lezione più importante che la vita possa offrire, e ne sono contenta. Il momento è tutto ciò che abbiamo».
Un messaggio assolutamente coerente con la struttura dei suoi romanzi pieni di viaggi e peripezie che portano le sue protagoniste verso prese di coscienza, ricerche delle radici, riscoperta dei sentimenti. Una scelta incarnata a pieno dalle Sette sorelle, con nomi presi dalla costellazione delle Pleiadi: adottate piccolissime da un fantomatico miliardario svizzero, Pa' Salt, hanno avuto così una vita agiata e piena di opportunità. Ma solo alla morte del generoso mentore, a ognuna di loro è data l'occasione di scoprire le proprie origini, ricostruire la storia complessa che ognuna si porta alle spalle. Era questo il pretesto narrativo che Riley utilizzava per raccontare le conquiste e le sofferenze delle donne attraverso secoli.
Aveva detto qualche mese fa commentando la fine della stesura della saga (di cui sono stati anche venduti i diritti per realizzare una serie tv): «Sono state la mia vita per sette anni. Potrei dover andare in terapia una volta terminata perché sarà come perdere le mie migliori amiche». Non ha avuto il tempo per doversene separare davvero.
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