Morto Faurisson negazionista francese della Shoah

Matteo Sacchi

È morto Robert Faurisson, uno degli studiosi più contestati della Shoah. Nato nel 1929 a Shepperton, Gran Bretagna, da padre francese e madre scozzese, Faurisson si è laureato in lettere nel 1972 alla Sorbona di Parigi. Dopo la laurea ha insegnato all'Università di Lione 2 dal 1974 al 1990; pubblicando, a livello accademico, esclusivamente saggi a tema letterario.

La sua, criticatissima, attività di ricerca sul sistema concentrazionario tedesco si è sviluppata parallelamente. Faurisson iniziò a occuparsi della Shoah dopo la lettura nel 1960 di un articolo dello storico tedesco Martin Broszat, futuro direttore dell'Institut für Zeitgeschichte di Monaco di Baviera, nel quale si affermava (erroneamente) che nel territorio del vecchio Reich tedesco non erano state costruite camere a gas, che secondo Broszat sarebbero state costruite solo nei territori occupati. Faurisson contattò anche Paul Rassinier (1906-1967), membro del partito socialista francese incarcerato nei campi di concentramento tedeschi il quale, pur non negandone le atrocità, ridimensionava di molto il numero delle vittime e negava esistesse un piano preciso di sterminio degli ebrei. Nel 1978 scrisse l'articolo Le problème des chambres à gaz in cui mise in dubbio per la prima volta l'esistenza delle camere a gas. Non trovando testate disponibili, Faurisson pubblicò l'articolo sulla rivista Défense de l'Occident, di proprietà di Maurice Bardèche. Lo stesso testo fu poi ripubblicato su Le Monde il 29 dicembre 1978, accompagnato da un commento, durissimo, di Georges Wellers (storico sopravvissuto al genocidio dopo essere passato da Auschwitz e Buchenwald). Nell'articolo Faurisson sollecitava gli storici ad aprire un dibattito sul tema, e invitava a presentare prove incontrovertibili dell'esistenza delle camere e del loro funzionamento. Venne presto accontentato: il 21 febbraio 1979 Le Monde pubblicò la dichiarazione di 34 storici, redatta da Pierre Vidal-Naquet e Léon Poliakov, in cui si rispondeva a Faurisson che le numerose testimonianze raccolte, fra le quali le confessioni dei tedeschi stessi, rendevano impossibile dubitare della realtà dello sterminio.

Nel 1980 Noam Chomsky, sebbene contrario alle tesi negazioniste, curò la prefazione di Mémoire en défense di Faurisson, sostenendo il principio della libertà di espressione. Principio sacrosanto, a poco sono servite le condanne penali di Faurisson, ma che non cambia il fatto che le prove del genocidio siano schiaccianti.

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