Cultura e Spettacoli

Musica e ribellione. La casa di Gainsbourg diventa un museo

L'edificio, meta di tanti fan, trasformato da Charlotte dopo molte beghe burocratiche

Musica e ribellione. La casa di Gainsbourg diventa un museo

Parigi. «Voilà, questa è casa mia. Non so cosa sia: se un salotto, una sala della musica, un bordello o un museo», diceva Serge Gainsbourg del suo guscio parigino, al 5 bis, rue de Verneuil, dove abitò dal 1968 fino alla morte, avvenuta nel 1991. Era un po' tutto, la sua mitica dimora situata nel Sesto arrondissement della capitale, ma entro la fine del 2021, grazie alla volontà della figlia Charlotte Gainsbourg, sarà soprattutto un museo aperto al pubblico, un santuario laico dedicato al cantante più rivoluzionario del secondo Novecento francese.

«Non è cambiato nulla dal giorno della sua morte. Gli oggetti sono rimasti tutti intatti e al loro posto, sembra quasi che sia appena andato a dormire. È da trent'anni che Charlotte si occupa di tutto, del riscaldamento, etc. È una figliola prodiga, ha preservato tutto come ne La bella addormentata nel bosco», ha dichiarato alla rivista Jack Jane Birkin, la musa ispiratrice di Gainsbourg, con il quale interpretò 69, année érotique e Je t'aime moi non plus. Ci sono ancora i muri dipinti di nero e il mobile bar in legno laccato, il pianoforte da cui uscivano meraviglie e i 45 giri dei grandi della musica, i distintivi della polizia che amava collezionare e persino i mozziconi delle sue ultime sigarette.

Al 5 bis, rue de Verneuil, tutto è rimasto intatto e ordinato con meticolosità, perché «quando il disordine è interno, l'ordine deve regnare all'esterno», affermava Gainsbourg. Non è stato facile per Charlotte ottenere il permesso per rendere accessibile a tutti la maison del padre, divenuta nel corso degli anni un luogo di pellegrinaggio per i devoti gainsbourghiani. Anzi, è stata una vera e propria battaglia, iniziata nel 2001 e quasi abbandonata alla luce dei numerosi ostacoli burocratici. Ma l'anno scorso, tornata a Parigi dopo un quinquennio trascorso a New York, l'attrice francese ha ripreso il dossier in mano, ha creato la «società di gestione della dépendance dell'hotel particulier di Serge Gainsbourg», ha acquistato il piccolo edificio situato di fronte al 5 bis, rue de Verneuil per trasformarlo in sala d'accoglienza e biglietteria del futuro museo, e ha ottenuto il permesso per ristrutturare la casa del padre per adattarla alle norme attuali.

Nel dettaglio, verrà costruito un ascensore esterno per permettere alle persone a mobilità ridotta di accedere al museo, il piano terra sarà allargato e adibito a spazio espositivo, la vetrata che dà sul cortile interno verrà rinnovata, mentre alcune stanze del primo piano, per volere di Charlotte, resteranno private e chiuse al pubblico. La speranza della figlia di Jane Birkin era di inaugurare il museo il prossimo 2 marzo, a trent'anni esatti dalla scomparsa del padre. Ma la crisi sanitaria ha fatto saltare tutti i piani, e l'ipotesi più probabile, secondo quanto riportato dal settimanale Paris Match, è un'apertura in ottobre.

Per gli habitué del Sesto arrondissement di Parigi, ma anche per chi non è un gran frequentatore di quelle zone, è sempre stato facile individuare l'hotel particulier di Serge. Perché dagli anni Settanta in poi i fan di Gainsbourg hanno trasformato la facciata dell'edificio della rue de Verneuil in una distesa di graffiti multicolori, con ritratti, disegni e poemi scritti in gloria del poeta-compositore parigino. Quando il cantante era ancora in vita, i vicini si lamentavano costantemente per il via vai di gente e per i muri ricoperti di colori sgargianti, che contrastavano con la sobrietà estetica del Sesto arrondissement. E Gainsbourg, come raccontato da Le Point, si ritrovava spesso costretto a ridipingerli di bianco per placare le proteste, salvo poi ritrovarseli nuovamente pittati il giorno dopo.

Ora quei muri, grazie all'impegno della figlia, fanno parte del patrimonio parigino. «Serge viveva sempre con la luce accesa nelle stanze con i muri dipinti di nero - ha raccontato Tony Frank, fotografo e grande amico di Gainsbourg -.

Come nei casinò di Las Vegas, era impossibile distinguere il giorno dalla notte».

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